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SGS - Redazione

Abusi su minori: convenzioni internazionali e CEDU a difesa del diritto ad indagini effettive

Aggiornamento: 26 feb 2021


@ Image credits: Council of Europe



OSSERVATORIO CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO


A cura di Emanuele Sylos Labini


Nell'ottica di sviluppare un contenuto che possa essere di ausilio per studiosi e professionisti, a partire dal mese di ottobre 2020, verrà pubblicato con cadenza regolare l'Osservatorio sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la cui influenza diretta sugli orientamenti degli ordinamenti nazionali pare destinata sempre più ad aumentare.

La rubrica contiene una rassegna di stralci di pronunce accuratamente selezionate secondo la rilevanza delle questioni trattate, corredate da un breve riferimento alla massima, nonché all'indicazione dell'articolo della Convenzione violato.

Per i casi che non riguardano il nostro ordinamento, in assenza di una traduzione ufficiale in lingua italiana, si è preferito procedere ad un breve riassunto della quaestio in analisi, a cui segue il riferimento diretto al link ove è presente la pronuncia in lingua inglese.




Abusi su minori: convenzioni internazionali e CEDU a difesa del diritto ad indagini effettive


Corte EDU, Grande Camera, 2 febbraio 2021, Ricorso n. 22457/16, X e altri c. Bulgaria

(sentenza in lingua:http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-207953)


Massima

Nel caso di abusi sessuali su minori, l’art. 3 CEDU, letto congiuntamente alla Convenzione di Lanzarote e alla Convenzione sui diritti dell’infanzia, impone agli Stati l’obbligo procedurale di condurre indagini efficaci, adottando tutti gli strumenti, anche di cooperazione internazionale, utili a delineare un quadro probatorio approfondito e completo, idoneo a verificare i fatti e a identificare i responsabili.


Caso

Il caso origina dal ricorso proposto da tre fratelli bulgari, cresciuti in un orfanotrofio e poi adottati da una coppia italiana, i quali, in seguito ad alcuni accertamenti psicologici, rivelavano di aver subito abusi sessuali durante il periodo trascorso nell’orfanotrofio bulgaro.

In seguito alle iniziative intraprese dal padre adottivo dei ricorrenti, dall’AiBi, l’associazione intermediaria nell’adozione, dal Telefono Azzurro e dalla Procura di Milano, le autorità bulgare avviavano diverse indagini e più ispezioni presso l’orfanotrofio in questione: dai rapporti conclusivi emergeva che non vi era alcuna prova che i bambini presenti presso la struttura avessero subito violenza o abusi. Tutte le indagini avviate venivano dunque archiviate.

Il caso giungeva dinanzi alla Grande Camera. I ricorrenti, infatti, ritenevano che le autorità bulgare fossero venute meno sia al loro obbligo positivo di proteggerli contro gli abusi sessuali perpetrati all’interno dell’orfanotrofio sia al loro obbligo di condurre un’indagine efficace rispetto a tali accuse.

I giudici europei, dopo aver ricondotto tutte le doglianze sotto l’art. 3 CEDU, ribadiscono come questo sancisca uno dei valori fondamentali della società democratica, vietando in termini assoluti la tortura o trattamenti o punizioni inumani o degradanti. Per effetto di tale disposizione, gli Stati devono adottare misure volte a garantire che le persone soggette alla loro giurisdizione, in particolare i bambini e gli altri soggetti vulnerabili, non vengano sottoposte a maltrattamenti.

Così, da un punto di vista sostanziale, dall’art. 3 CEDU discende in capo alle Parti l’obbligo positivo di predisporre un quadro legislativo e regolamentare idoneo a proteggere adeguatamente le persone dalle violazioni della loro integrità fisica e psicologica. Nei casi più gravi, implicanti atti come lo stupro e l’abuso sessuale su minori, specie se si trovino affidati alle cure esclusive delle autorità, spetta poi agli Stati membri garantire anche l’emanazione di disposizioni di diritto penale e la loro efficace applicazione nella pratica. In tal senso, la Grande Camera nota come questo obbligo derivi da e debba essere letto in conformità anche con altri strumenti internazionali e come lo stesso debba essere interpretato in modo da non imporre un onere impossibile o sproporzionato alle autorità: occorre sempre stabilire se le autorità sapevano o avrebbero dovuto sapere dell’esistenza di un rischio reale e immediato di maltrattamento.

Riportando tali principi al caso di specie, i giudici europei ritengono che non sia ravvisabile alcuna violazione dell’art. 3 CEDU sotto l’aspetto sostanziale. Nel diritto interno dello Stato convenuto, infatti, esiste una legislazione penale idonea a prevenire e punire gli abusi sessuali sui minori e sono altresì presenti strumenti di protezione potenziati nei confronti dei bambini che, come i ricorrenti, sono privati ​​delle cure genitoriali e sono stati affidati alle cure di un’istituzione pubblica che ha la responsabilità di garantire la loro sicurezza e il loro benessere. Tale circostanza trova conferma sia nelle relazioni redatte dai servizi competenti che hanno effettuato i controlli presso l’orfanotrofio sia nella presenza di un’istituzione specializzata, l’Agenzia statale per la protezione dei minori (“SACP”), creata appositamente e incaricata, fra l’altro, di effettuare ispezioni delle strutture residenziali per bambini su base periodica e autorizzata altresì ad adottare le misure appropriate per proteggere i bambini, se del caso rivolgendosi alle autorità competenti.

A diversa conclusione giunge la Corte con riferimento all’aspetto procedurale dell’art. 3 CEDU.

Tale disposizione, infatti, implica in capo alle autorità nazionali anche l’obbligo, di mezzi e non di risultato, di condurre un’indagine efficace per stabilire i fatti del caso e identificare ed eventualmente punire i responsabili. Per essere tale, l’indagine deve essere sufficientemente approfondita: le autorità devono adottare le misure ragionevoli a loro disposizione per ottenere prove relative al reato in questione, devono porre in essere un serio tentativo di scoprire l’accaduto e non devono fare affidamento su conclusioni affrettate o infondate per archiviare le indagini. Qualsiasi carenza nelle investigazioni in grado di pregiudicare la possibilità di stabilire i fatti o l’identità delle persone responsabili rischierà di non rispettare questo standard. Così, le conclusioni delle indagini devono essere basate su un’analisi approfondita, obiettiva e imparziale di tutti gli elementi. In determinate circostanze, poi, il requisito dell’efficacia delle indagini può includere l’obbligo per le autorità inquirenti di cooperare con le autorità di un altro Stato.

Infine, la Grande Camera rammenta che, nell’ipotesi in cui siano coinvolti minori vittime di abusi sessuali, l’art. 3 CEDU impone, da un punto di vista procedurale, che l’interesse degli stessi sia sempre considerato come primario, che sia tenuta in considerazione anche la particolare vulnerabilità dei bambini e che siano tenuti altresì in considerazione gli obblighi derivanti dagli altri strumenti internazionali applicabili, più specificamente dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dalla Convenzione di Lanzarote.

Riportando tali principi al caso di specie, i giudici europei osservano che le autorità bulgare disponevano di informazioni parecchio dettagliate rispetto alle quali avevano il dovere di adottare le misure necessarie per valutare la credibilità delle richieste, chiarire le circostanze del caso e identificare i responsabili. Dunque, rispetto alle iniziative adottate, si tratta di verificare se le indagini svolte siano state sufficientemente efficaci.

A tale quesito, la Grande Camera risponde negativamente. Secondo la Corte, infatti, le autorità bulgare non avrebbero fatto quanto in loro potere per dissipare i dubbi legati alla credibilità dei racconti dei ricorrenti, come ottenuti e registrati dagli psicologi. In particolare, avrebbero mancato di esaminare ed ascoltare direttamente i ricorrenti e i loro genitori così come gli psicologi che avevano condotto gli accertamenti. Tale carenza, probabilmente dovuta al fatto che si trattava di soggetti che non si trovavano in Bulgaria, si considera non rispondente alle indicazioni contenute negli artt. 35 e 38 § 2 della Convenzione di Lanzarote, secondo cui le autorità bulgare avrebbero potuto mettere in atto misure per assistere e sostenere i ricorrenti nella loro duplice veste di vittime e testimoni, e avrebbero potuto recarsi in Italia nel contesto di mutua assistenza legale, tanto più nell’ambito dei meccanismi di cooperazione giudiziaria esistenti all’interno del Unione europea. D’altra parte, aggiungono i giudici, le autorità bulgare avrebbero comunque potuto almeno richiedere alle controparti italiane le registrazioni video effettuate durante le conversazioni fra i ricorrenti, gli psicologi e il pubblico ministero per i minori. Analogamente, avrebbero potuto chiedere ai ricorrenti di sottoporsi a una visita medica che avrebbe consentito di confermare o escludere talune possibilità, in particolare le accuse di stupro; così come avrebbero potuto ampliare l’audizione di alcuni dei bambini nominati dai ricorrenti, limitata solo a coloro che erano ancora presenti nell’orfanotrofio.

Inoltre, in considerazione della natura e della gravità del presunto abuso, la Corte ritiene che le autorità bulgare avrebbero potuto utilizzare strumenti investigativi di natura più segreta come la sorveglianza del perimetro dell’orfanotrofio, le intercettazioni telefoniche o l’intercettazione di messaggi telefonici, così come agenti sotto copertura; operazioni, tra l’altro, espressamente previste nell’articolo 30 § 5 della Convenzione di Lanzarote e ampiamente utilizzate in Europa nelle indagini relative ad abusi su minori.

Tali elementi, complessivamente, evidenziano la natura limitata e carente delle indagini condotte: le autorità inquirenti non hanno fatto uso, in particolare, dei meccanismi di indagine e di cooperazione internazionale disponibili, non hanno adottato tutte le misure ragionevoli per far luce sui fatti del caso di specie e non hanno intrapreso un’analisi completa e attenta delle prove disponibili. Le omissioni osservate appaiono sufficientemente gravi per ritenere che l’indagine svolta non sia stata efficace ai fini dell’art. 3 CEDU, interpretato alla luce degli altri strumenti internazionali applicabili: vi è stata, dunque, violazione della parte procedurale dell’articolo 3 CEDU.


(Riassunto a cura di Giuliana Costanzo)





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