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Remo Trezza

ACCERTAMENTO DELLA MATERNITÀ E PARTO ANONIMO: LETTURA COSTITUZIONALE (Cass. civ., n. 19824/2020)

di seguito uno stralcio della pronuncia

(a cura di Filomena Passamano)

“Ad avviso di questa Collegio, nel bilanciamento dei valori di rango costituzionale che si impone all’interprete, al cospetto del diritto al riconoscimento dello status di filiazione, quello della madre a mantenere l’anonimato al momento del parto si ponga comunque in posizione preminente. Quest’ultimo diritto, infatti, come sopra già evidenziato, è finalizzato a tutelare i beni supremi della salute e della vita, oltre che del nascituro, della madre, la quale potrebbe essere indotta a scelte di natura diversa, fonte di possibile forte rischio per entrambi, ove, nel momento di estrema fragilità che caratterizza il parto, la donna che opta per l’anonimato avesse solo il dubbio di poter essere esposta, in seguito, ad un’azione di accertamento giudiziale della maternità”.

(…) Va preliminarmente osservato che il diritto della madre a mantenere l’anonimato al momento del parto – invocato, nel caso di specie, dalla ricorrente per impedire l’accertamento giudiziale della maternità nei confronti della propria madre premorta – trova il proprio riconoscimento nel nostro ordinamento in una pluralità di norme che, integrandosi tra loro, ne consentono la tutela nel modo più ampio.

(…) Nell’esame degli interessi che vengono in considerazione nel presente procedimento, non secondario rilievo deve, d’altra parte, attribuirsi al diritto (nel caso di specie rivendicato dal controricorrente) all’accertamento dello status filiationis.

In particolare, questa Corte ha già statuito (vedi Cass. N. 24292/2016; conf. Cass. N. 11887/2015, Cass. N. 4020/2017) che «il diritto del figlio ad uno “status” filiale corrispondente alla verità biologica costituisce una delle componenti più rilevanti del diritto all’identità personale che accompagna senza soluzione di continuità la vita individuale e relazionale non soltanto nella minore età, ma in tutto il suo svolgersi. L’incertezza su tale “status” può determinare una condizione di disagio ed un “vulnus” allo sviluppo adeguato ed alla formazione della personalità riferibile ad ogni stadio della vita. La sfera all’interno della quale si colloca il diritto al riconoscimento di uno status filiale corrispondente a verità attiene al nucleo dei diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost. e art. 8 CEDU) intesi nella dimensione individuale e relazionale».

(…) Deve, tuttavia, osservarsi che, ad avviso di questa Collegio, nel bilanciamento dei valori di rango costituzionale che si impone all’interprete, al cospetto del diritto al riconoscimento dello status di filiazione, quello della madre a mantenere l’anonimato al momento del parto si ponga comunque in posizione preminente. Quest’ultimo diritto, infatti, come sopra già evidenziato, è finalizzato a tutelare i beni supremi della salute e della vita, oltre che del nascituro, della madre, la quale potrebbe essere indotta a scelte di natura diversa, fonte di possibile forte rischio per entrambi, ove, nel momento di estrema fragilità che caratterizza il parto, la donna che opta per l’anonimato avesse solo il dubbio di poter essere esposta, in seguito, ad un’azione di accertamento giudiziale della maternità.

Dunque, in tale prospettiva e per garantire ampia tutela alla donna che compie tale difficile scelta, il diritto all’anonimato non può essere in alcun modo sacrificato e compromesso per tutta la durata della vita della madre.

Tale regola può essere, al limite, derogata (consentendo quindi l’esercizio dell’accertamento giudiziale della maternità) solo ove fosse stata proprio la madre – come, peraltro, è accaduto nel caso che forma oggetto del presente procedimento – con la propria inequivocabile condotta, ad aver manifestato la volontà di revocare nei fatti la scelta, a suo tempo presa, di rinuncia alla genitorialità giuridica, accogliendo nella propria casa il bambino come figlio.

Tuttavia, (…) la tutela del diritto all’anonimato della madre, per tutta la durata della vita stessa, deve essere, come detto, massima.

A diverse conclusioni si deve, invece, addivenire con riferimento al periodo successivo alla morte della madre, in relazione al quale il diritto all’anonimato in oggetto è suscettibile di essere compresso, o indebolito, in considerazione della necessità di fornire piena tutela – a questo punto – al diritto all’accertamento dello status di filiazione.

(…) ne consegue che, nel caso di specie, l’azione di accertamento giudiziale della maternità proposta da (…) dopo il decesso della madre è pienamente ammissibile per due ordini di ragioni:

- è stata proposta dopo che il diritto della madre premorta a mantenere l’anonimato si era (…) indebolito;

- in ogni caso, è stata proposta per ottenere l’accertamento della maternità nei confronti di una donna che aveva dimostrato nei fatti (…) di aver superato essa stessa l’originaria scelta dell’anonimato, trattando l’odierno controricorrente come uno dei suoi figli”.


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