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AL GIUDICE ORDINARIO LA DECADENZA DA CONSIGLIERE DEL CSM PER RAGGIUNTI LIMITI DI ETÀ

Aggiornamento: 13 gen 2021

di seguito uno stralcio della pronuncia

(a cura di Davide Gambetta)

(Cons. St., sez. V, 7 gennaio 2021, n. 215)


“(…) il dott. (…) esponeva di essere stato eletto (…) Consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura (…).

(…) al compimento del settantesimo anno dell’età anagrafica per il collocamento obbligatorio a riposo, aveva (…) chiesto (…) verifica degli effetti del conseguimento del limite massimo d’età per il servizio attivo sul munus di Consigliere.

(…) la Commissione verifica titoli aveva proposto (…) di deliberare la cessazione “dalla carica (…)

(:..) il Plenum aveva, di conserva, approvato la ridetta proposta (…).

(…) l’adito Tribunale (…) aveva dichiarato (…) l’inammissibilità del ricorso, indicando, quale giudice munito di giurisdizione, il giudice ordinario (…).

(…) il perimetro della giurisdizione del giudice amministrativo (fuori dalle ipotesi in cui, per espressa indicazione di legge, gli è attribuita, in via esclusiva, anche la tutela ratione materiae di posizioni di diritto soggettivo: caso che qui non ricorre perché si è al di fuori dell’ipotesi dell’art. 133, comma 1, lett. i), cod. proc. amm., cioè delle “controversie relative ai rapporti di lavoro del personale in regime di diritto pubblico”, non essendo fatta questione del rapporto di lavoro dell’interessato) è individuato dall’art. 7 cod. proc. amm. con il richiamo alle “controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi”, tali essendo quelle “concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo”.

Dando positiva attuazione all’art. 103 Cost. e recependo i più maturi esiti della elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria, la regola (che figura e scolpisce un criterio discretivo della giurisdizione direttamente affidato alla causa petendi, cioè, appunto, alla intrinseca natura della situazione soggettiva dedotta in giudizio) individua il nesso tra potere amministrativo ed interesse legittimo, orientando all’esatto intendimento di quest’ultimo in termini di situazione soggettiva dinamica, attivamente orientata alla conservazione o alla acquisizione di beni della vita, in contesti relazionali non paritari, a connotazione per l’appunto “potestativa”.

La stessa disposizione chiarisce peraltro (a superamento della tradizionale struttura meramente impugnatoria del giudizio amministrativo) che non è essenziale al radicamento della giurisdizione amministrativa che l’oggetto immediato della controversia concerna atti (e, più specificamente, provvedimenti: cfr. ancora l’art. 113 Cost.), essendone piuttosto condizione necessaria (ma anche sufficiente) la manifestazione di un potere amministrativo.

Il nesso tra potere amministrativo e interesse legittimo va precisato alla luce della asimmetria di posizioni sussistente, in base alla norma attributiva del potere, tra il decisore pubblico e i destinatari dell’attività amministrativa.

5.- Nel caso di specie, la questione si risolve nel quesito se la determinazione assunta dal Consiglio (…) consista in un (vero e proprio) “provvedimento amministrativo” (motivato ed elaborato frutto di una determinazione volitiva intesa a privilegiare, in chiave autoritativa, un determinato assetto dei confliggenti interessi, in concreto sfavorevoli all’appellante) ovvero un “mero atto” paritetico (con funzione di vincolato “accertamento” di un effetto decadenziale, discendente dal paradigma normativo, così come concretamente interpretato).

5.1.- Ritiene il Collegio che sia corretta la seconda prospettiva (…).

In quanto frutto di mera attività ricognitiva della volontà di legge e puramente intesa all’automatica applicazione della stessa, la decisione (che si muove, allora, secondo lo schema dinamico norma-fatto-dichiarazione-effetto) non rappresenta l’esercizio di un potere (e, tanto meno, di un potere pretesamente “discrezionale”: essendovi, con ogni evidenza, estraneo l’apprezzamento comparativo di “interessi” in conflitto) e non concreta manifestazione di autoritatività, rientrando nella attività (vincolata) di “verifica” della sussistenza dei requisiti legalmente necessari per il mantenimento della carica, ivi compresi quelli costituenti un prius logico del diritto di elettorato passivo.

(…) Non si prospetta, infine, sotto il profilo remediale, un problema di “impugnazione”, con esito demolitorio: oggetto di tutela è infatti, in via immediata, la pretesa a permanere, ex art. 104, sesto comma, Cost., nelle funzioni di “membro effettivo” del C.S.M., (…): pretesa che – in quanto esplicazione di “diritti soggettivi di elettorato passivo” e che, in un ordinamento rappresentativo, non fa fronte all’esercizio (dall’alto), di un (grazioso) potere pubblico (concessione), ma al diretto fatto (dal basso) del risultato elettorale – ha, appunto, la consistenza del diritto soggettivo.

(…) a diverso esito non può condurre l’art. 135, comma 1, lettera a) cod. proc. amm. (…) essa a monte postula, ma non fonda la sussistenza della giurisdizione (…)”.


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