di seguito uno stralcio della pronuncia
(a cura di Giovanni De Bernardo)
(Cassazione pen., sez. V, 1 marzo 2021, n. 7995)
RITENUTO IN FATTO
“1. (…) La condotta attiene all'invio di alcune e-mail all'ufficio sinistri delle assicurazioni DAS e Zurich, gestite come reclami, ritenute lesive dell'onore della persona offesa, accusata di cattiva gestione di una pratica assicurativa che vedeva coinvolto l'imputato, ed esorbitanti il diritto di critica, poiché riferite all'incapacità ed alla falsità di costei, che si sarebbe "inventata" gli avvenimenti oggetto della pratica assicurativa. (…)”
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
“(…) 3. (…) Deve premettersi che la Cassazione, in materia di diffamazione, può autonomamente e direttamente conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva della altrui reputazione (…). Ebbene, le espressioni utilizzate dall'imputato nei riguardi della persona offesa hanno oltrepassato il limite di qualsiasi libera manifestazione del diritto di critica all'operato lavorativo di costei, assumendo la dimensione di una condotta diffamatoria.
D'altra parte, sussiste il dolo del reato di cui all'art. 595 c.p., a prescindere dalla finalità perseguita e dal movente dell'imputato (…). (…)
3.1. Su di un piano oggettivo, ed avuto riguardo, altresì, al diritto di critica, va detto che la Corte d'Appello ed il primo giudice hanno accertato, anzitutto, l'assenza di prova circa condotte di scarsa professionalità da parte della vittima e, in ogni caso, l'utilizzo di una terminologia che, evocando non soltanto possibili sue mancanze dal punto di vista lavorativo, ma anche inadeguatezze che ne coinvolgono la dimensione umana in quanto tale, si traduce in una inescusabile lesione del diritto all'onore del soggetto diffamato, definito una persona in sé "falsa" e che "si inventa le cose".
Orbene, in tema di diffamazione, questa Corte di legittimità ha formato, nel tempo, un orientamento che, da un lato, ha volutamente rafforzato la tutela del diritto alla libertà di espressione critica del pensiero, dall'altro ha indicato i limiti, tuttora esistenti, di esercizio di tale diritto con modalità che non travalichino i confini, sia pur avvertiti come sempre più ampi, della manifestazione delle proprie opinioni, scadendo in gratuite offese dell'altrui onore e immotivate aggressioni della reputazione personale.
Ecco, dunque, che - oltre al presupposto necessario della verità del fatto storico attribuito al diffamato, ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica (…) si è consolidato il condivisibile principio secondo cui l'esimente del diritto di critica postula una forma espositiva corretta, strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione, e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione, sebbene essa non vieti l'utilizzo di termini che, pur se oggettivamente offensivi, hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo, di cui si deve tenere conto alla luce del complessivo contesto in cui il termine viene utilizzato (…). (…)
Non vi é dubbio che la prima esigenza goda di una tutela assai ampia, grazie anche alla declinazione di grande apertura nei confronti del diritto di critica che proviene dalle norme sovranazionali, in particolar modo dall'art. 10 CEDU, e dalla giurisprudenza Europea: secondo le affermazioni della Corte di Strasburgo, la libertà di espressione costituisce uno dei fondamenti su cui si basa una società democratica ed é una delle condizioni primarie del suo progresso e dello sviluppo di ciascuno; fatto salvo il paragrafo 2 dell'art. 10, essa vale non soltanto per le "informazioni" o le "idee" accolte con favore o considerate inoffensive o indifferenti, ma anche per quelle che urtano, scioccano o inquietano: così esigono il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura, senza i quali non esiste una "società democratica" (…).
Come sancita dall'art. 10, pertanto, tale libertà è soggetta a eccezioni, che sono di interpretazione restrittiva, e la necessità di limitarla deve essere accertata in maniera convincente.
Il "dissenso", dunque, è certamente un valore da garantire come bene primario in ogni moderna società democratica che voglia davvero dirsi tale.
Esso, tuttavia, non può trascendere le idee che intende sostenere, esorbitare dalla ricostruzione dei fatti e giungere a fondare manifestazioni espressive che diventino meri argomenti di aggressione personale di chi è portatore di una diversa opinione (…).
Il Collegio, sulla base di tali presupposti, ribadisce, pertanto, che il limite della continenza nel diritto di critica è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, sicché il contesto nel quale la condotta si colloca, di cui pure deve tenersi conto per valutarne la portata diffamatoria, non può scriminare l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona oggetto di critica in quanto tale, travalicando la linea di demarcazione tra il dissenso espresso all'operato altrui e la lesione della reputazione e dell'onore della persona attaccata (…). (…)
Nel caso sottoposto oggi al Collegio, attribuire alla diffamata l'epiteto "persona falsa" e riferirle la condotta negativa di "inventarsi gli avvenimenti" - particolarmente grave per chi si occupa per professione di risarcimenti assicurativi da incidenti stradali - significa indicare in senso gravemente negativo una qualità generale e permanente della personalità della vittima, in particolar modo nel suo contesto professionale.
In altre parole, l'utilizzo di espressioni che accusano la persona offesa, impiegata di una società assicuratrice, di falsità e invenzioni, riferite alla quantificazione dei danni da sinistro stradale riportati dall'autovettura dell'imputato, travalica il piano della critica consentita e, superando la linea di demarcazione tra il dissenso espresso all'operato altrui e la lesione della reputazione e dell'onore della persona attaccata, integra gli estremi della condotta diffamatoria, tenuto conto, altresì, della mancata prova di veridicità delle accuse di inadeguatezza professionale e grave imprecisione (quest'ultima corrispondente alla soglia della falsità, secondo le accuse del ricorrente, affatto incise dalla modalità espositiva per paradossi e alternative, come invece motivato nel ricorso), rivolte alla vittima con le espressioni eccessive suddette. (…)”
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