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La condanna per l'esercizio dell'accattonaggio viola l'art. 8 CEDU


@ Image credits: Council of Europe




OSSERVATORIO CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO


A cura di Emanuele Sylos Labini


Nell'ottica di sviluppare un contenuto che possa essere di ausilio per studiosi e professionisti, a partire dal mese di ottobre 2020, verrà pubblicato con cadenza regolare l'Osservatorio sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la cui influenza diretta sugli orientamenti degli ordinamenti nazionali pare destinata sempre più ad aumentare.

La rubrica contiene una rassegna di stralci di pronunce accuratamente selezionate secondo la rilevanza delle questioni trattate, corredate da un breve riferimento alla massima, nonché all'indicazione dell'articolo della Convenzione violato.

Per i casi che non riguardano il nostro ordinamento, in assenza di una traduzione ufficiale in lingua italiana, si è preferito procedere ad un breve riassunto della quaestio in analisi, a cui segue il riferimento diretto al link ove è presente la pronuncia in lingua inglese.



La condanna per l'esercizio dell'accattonaggio viola l'art. 8 CEDU.


Corte EDU, 19 gennaio 2021, ricorso n14065/15, Lacatus c. Suisse

(sentenza in lingua: https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-207377%22]})


Massima

La condanna penale per l’esercizio in luogo pubblico dell’accattonaggio deve ritenersi lesiva della dignità umana e dei diritti stabiliti dall’art. 8 CEDU se la condizione di mendicità è giustificata dalla mancanza di qualsiasi mezzo alternativo di sostentamento.


Caso


Nel caso di specie, la ricorrente, appartenente alla etnia Rom, era stata condannata, ai sensi dell’art. 11A della legge penale di Ginevra, alla pena pecuniaria di 500 Franchi Svizzeri per aver svolto, in diverse occasioni, attività di accattonaggio su pubblica via. In ragione del mancato pagamento della sanzione pecuniaria, data la precarietà delle condizioni economiche in cui versava la donna, la pena inflitta era stata, poi, convertita nella pena detentiva di 5 giorni.

La Corte di Strasburgo ha, tuttavia, ritenuto che vi fosse un’inammissibile interferenza da parte del governo elvetico nella vita privata della ricorrente, la quale, analfabeta e priva di ogni fonte di reddito, mendicava in luogo pubblico per provvedere alla propria sussistenza, riscontrando così una violazione dell’art. 8 CEDU, rubricato “Diritto al rispetto della vita privata e familiare”. A ben vedere, infatti, misure sanzionatorie per l’esercizio dell’accattonaggio devono considerarsi legittime solo allorquando siano giustificate da motivi di interesse pubblico. Nel caso di specie, la condanna inflitta alla donna, non solo doveva ritenersi discriminatoria della sua appartenenza alla comunità Rom – avendo ulteriormente aggravato lo stato di vulnerabilità e di precarietà, in cui già versava in considerazione della sua astrazione sociale e del fatto che non beneficiava di alcuna prestazione di natura assistenziale –, non risultava nemmeno proporzionata né allo scopo di lotta alla criminalità organizzata, né a quello di tutela dei diritti e delle libertà dei cittadini, residenti e passanti, come pure era stato eccepito dal Governo svizzero sulla base delle argomentazioni proposte dal Tribunale federale.

I Giudici di Strasburgo concludono che l’ingerenza da parte dello Stato Svizzero nell’esercizio della ricorrente dei diritti protetti dall’art. 8 CEDU non era “necessaria in una società democratica”, ai sensi del secondo paragrafo della medesima disposizione.


(Riassunto a cura di Giulio Baffa)



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