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La Consulta solleva innanzi a sé la questione di legittimità costituzionale dell’art. 262, co.1 c.c.

di seguito uno stralcio della pronuncia

(a cura di Luigia Sica)

(Corte Costituzionale, ord. 11 febbraio 2021, n. 18)


“(…) Considerato che il Tribunale ordinario di Bolzano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 262, primo comma, del codice civile che, nel dettare la disciplina del cognome del figlio nato fuori dal matrimonio, prevede che «Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre»; la disposizione è censurata nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, il solo cognome materno. Questa preclusione si porrebbe in contrasto, in primo luogo, con l’art. 2 della Costituzione, sotto il profilo della tutela dell’identità personale; sarebbe, inoltre, violato l’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’uguaglianza tra donna e uomo, come già rilevato da questa Corte nella sentenza n. 286 del 2016; è denunciata, infine, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia diritti dell’uomo e libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, che trovano corrispondenza negli artt. 7 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007;

(…) In via preliminare, non è fondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa dello Stato per il carattere manipolativo dell’intervento richiesto a questa Corte; il petitum del rimettente è circoscritto al riconoscimento della possibilità, attualmente preclusa dall’art. 262, primo comma, cod. civ., di trasmettere al figlio, di comune accordo, alla nascita, il solo cognome materno; con ciò, dunque, il giudice a quo chiede l’addizione di una specifica ipotesi derogatoria, ritenuta costituzionalmente imposta, volta a riconoscere il paritario rilievo dei genitori nella trasmissione del cognome al figlio. La secolare prevalenza del cognome paterno trova il suo riconoscimento normativo – oltre che nella disposizione censurata – negli artt. 237 e 299 cod. civ.; nell’art. 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile); negli artt. 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127);

(…)Sin da epoca risalente, è stata evidenziata la possibilità di introdurre sistemi diversi di determinazione del nome, egualmente idonei a salvaguardare l’unità della famiglia, senza comprimere l’eguaglianza e l’autonomia dei genitori (ordinanze n. 586 e n. 176 del 1988); in tempi più recenti, è stato espressamente riconosciuto che «l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna» (ordinanza n. 61 del 2006);

“Ravvisando il contrasto della regola del patronimico con gli artt. 2, 3, 29, secondo comma, Cost., questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 cod. civ.; 72, primo comma, del r.d. n. 1238 del 1939; e 33 e 34 del d.P.R. n. 396 del 2000, nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno; la dichiarazione di illegittimità costituzionale è stata estesa, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), all’art. 262, primo comma, cod. civ., e all’art. 299, terzo comma, cod. civ. (sentenza n. 286 del 2016)”.

(…) La prevalenza del cognome paterno costituisce tuttora il presupposto delle disposizioni, sopra richiamate, che declinano la regola del patronimico nelle sue diverse esplicazioni, tra le quali rientra certamente la disposizione censurata dell’art. 262, primo comma, cod. civ.; nella perdurante vigenza del sistema che fa prevalere il cognome paterno, lo stesso meccanismo consensuale – che il rimettente vorrebbe estendere all’opzione del solo cognome materno – non porrebbe rimedio allo squilibrio e alla disparità tra i genitori;

(…)La risoluzione della questione avente ad oggetto l’art. 262, primo comma, cod. civ., nella parte in cui impone l’acquisizione del solo cognome paterno, si configura come logicamente pregiudiziale e strumentale per definire le questioni sollevate dal giudice a quo (ex multis, sentenze n. 255 del 2014, n. 179 del 1976, n. 195 del 1972; nonché ordinanze n. 114 e n. 96 del 2014, n. 42 del 2001; n. 197 e n. 183 del 1996; n. 297 e n. 225 del 1995; n. 294 del 1993; n. 378 del 1992, n. 230 del 1975 e n. 100 del 1970); ancorché siano legittimamente prospettabili soluzioni normative differenziate, l’esame di queste specifiche istanze di tutela costituzionale, attinenti a diritti fondamentali, non può essere pretermesso, poiché «l’esigenza di garantire la legalità costituzionale deve, comunque sia, prevalere su quella di lasciare spazio alla discrezionalità del legislatore per la compiuta regolazione della materia» (sentenza n. 242 del 2019; nello stesso senso, sentenze n. 96 del 2015, n. 162 del 2014 e n. 113 del 2011). La non manifesta infondatezza della questione pregiudiziale è rilevabile nel contrasto della vigente disciplina, impositiva di un solo cognome e ricognitiva di un solo ramo genitoriale, con la necessità, costituzionalmente imposta dagli artt. 2 e 3 Cost., di garantire l’effettiva parità dei genitori, la pienezza dell’identità personale del figlio e di salvaguardare l’unità della famiglia; tutto ciò porta a dubitare della legittimità costituzionale della disciplina dell’automatica acquisizione del solo patronimico, che trova espressione nell’art. 262, primo comma, cod. civ.

(…) Il dubbio di legittimità costituzionale che investe l’art. 262, primo comma, cod. civ., attiene anche alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (Divieto di discriminazione) CEDU; a questo riguardo, la Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sentenza 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, ha ritenuto che la rigidità del sistema italiano – che fa prevalere il cognome paterno e nega rilievo ad una diversa volontà concordemente espressa dai genitori – costituisce una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, determinando altresì una discriminazione ingiustificata tra i genitori, in contrasto con gli art. 8 e 14 CEDU;

“Pertanto, questa Corte non può esimersi, ai fini della definizione del presente giudizio, dal risolvere pregiudizialmente le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 262, primo comma, cod. civ., nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’automatica acquisizione del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU (...)”.


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