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SGS - Redazione

Legalità e prevedibilità dell'incriminazione: le SS. UU. riaffermano il ruolo del giudice italiano




(A cura di Giuliana Costanzo)




Cassazione penale, SS.UU., sentenza 24 ottobre 2019 (dep. 3 marzo 2020), n. 8544.


Il tema dei rapporti fra la giurisdizione nazionale e quella sovranazionale è ormai da tempo oggetto di studio. L’espansione della dimensione europea, in specie di quella garantistica legata alla tutela dei diritti fondamentali, ha infatti portato numerose volte dottrina e giurisprudenza a chiedersi, fra l’altro, quali siano i rapporti intercorrenti fra le sentenze provenienti dalla Corte di Giustizia o dalla Corte EDU e quelle promananti dai giudici nazionali o, detto altrimenti, quali siano gli spazi ed i limiti entro cui è concesso alla giurisdizione europea intromettersi in quella nazionale eventualmente provocandone una disapplicazione delle norme o delle pronunce.

Alle ricorrenti statuizioni mediante cui, nel corso degli anni, numerosi istituti del nostro sistema penale, sostanziali e processuali, sono stati ridefiniti in chiave sostanzialistica e garantistica, fanno tuttavia da contraltare un insieme di decisioni attraverso cui la Corte costituzionale e la Corte di cassazione hanno tentato di arginare l’ingresso tumultuoso delle “rivisitazioni” europee dando prevalenza ai principi vigenti nel nostro ordinamento. Sembra inserirsi in questo filone anche la sentenza n. 8544 del 2020, con cui le Sezioni Unite penali mettono (temporaneamente?) fine ad una disputa interpretativa che, generata dalle conclusioni contenute nella sentenza Contrada (Corte EDU, Contrada c. Italia, 14 aprile 2015), rischiava di rimettere in discussione i numerosi processi che si fossero conclusi con la condanna del soggetto per il delitto di concorso esterno in associazione di stampo mafioso per fatti commessi prima della sentenza Demitry (1994) e, per l’effetto, di ridefinire la portata applicativa del principio di legalità e dei suoi corollari.

La vicenda originava dal ricorso proposto dal sig. Genco, il quale, condannato per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa per fatti commessi prima del 1994, chiedeva la revoca del giudicato di condanna pretendendo che venissero applicati anche nei suoi confronti i principi espressi dalla Corte di Strasburgo nella sopra citata sentenza, a suo parere qualificabile come pilota.Così, a fronte del vivace contrasto interpretativo sussistente sul punto fra le sezioni semplici, le Sezioni Unite, sono chiamate a decidere se la suddetta sentenza della Corte EDU possa avere una portata generale «estensibile nei confronti di coloro che, estranei a quel giudizio, si trovino nella medesima posizione […]» e quale sia il rimedio eventualmente utilizzabile.

Due gli argomenti principali mediante cui i supremi giudici giungono al rigetto del ricorso.

Il primo è quello volto a rimarcare in quali casi possano dirsi sussistenti a carico dei giudici italiani obblighi conformativi rispetto ai principi enunciati nelle sentenze della Corte di Strasburgo. A tal fine, attraverso richiami precipui alla giurisprudenza costituzionale, le Sezioni Unite ribadiscono con forza che il giudice nazionale non può essere degradato a mero esecutore o recettore passivo del comando contenuto nella pronuncia del giudice europeo e che, diversamente, egli è tenuto a dar corso alla decisione della Corte EDU solo quando questa rappresenti una sentenza pilota o che tenda ad assumere un valore generale e di principio in base ai criteri esplicitati dalla Consulta nella sentenza n. 49 del 2015. Da ciò se ne deduce che, alla luce delle peculiarità del caso Contrada e del panorama giurisprudenziale vigente, la sentenza della Corte EDU in questione non costituisce espressione di un diritto consolidato, non riconosce una violazione di carattere strutturale o sistematico né si inserisce in un filone interpretativo uniforme e costante in materia, tale da individuarla quale sentenza pilota.

Né, d’altra parte, sono oggetto di orientamento uniforme e costante della giurisprudenza di Strasburgo i concetti di accessibilità e prevedibilità del diritto penale «intesi quale possibilità materiale per il cittadino di prendere anticipata conoscenza del comando normativo penale e precognizione delle conseguenze punitive in caso di sua trasgressione, entrambi requisiti qualitativi del principio di legalità». Con questo secondo argomento i giudici evidenziano, infatti, come nella giurisprudenza europea, dalla «vocazione naturalmente casistica delle decisioni», si contrappongano tre concezioni della prevedibilità: quella soggettiva, quella oggettiva e quella che considera l’evoluzione sociale. Rispetto a tali criteri, la sentenza Contrada utilizzerebbe una combinazione di quello soggettivo e, in modo preponderante, di quello oggettivo dando vita ad una decisione rigorosa che, confrontata con precedenti e successive attestazioni della medesima Corte EDU, è tale da poter essere qualificata quale statuizione atipica e anomala della Corte di Strasburgo, di certo non tale da potersi ritenere vincolante per il giudice nazionale al di fuori del caso specifico risolto.

Tale equivocità, d’altra parte, impedisce anche che la nozione di prevedibilità ivi enucleata possa essere utilizzata al fine di argomentare una lettura convenzionalmente orientata del principio di legalità – e quindi anche di prevedibilità dell’incriminazione – alla luce dell’art. 7 CEDU. E ciò in virtù del fatto che, a parere dei supremi giudici, la configurazione del delitto di concorso esterno in associazione mafiosa non può considerarsi un mutamento normativo né il frutto di operazioni ermeneutiche originali e svincolate dal dato normativo che si applicano retroattivamente ed in malam partem a fatti commessi prima della sentenza Demitry; al contrario, essa poggia sulla lettura congiunta di due disposizioni già presenti nell’ordinamento penale, gli artt. 110 e 416bis c.p., che rendevano possibile all’agente prevedere e riconoscere la sicura perseguibilità della condotta, escludendo che una sua eventuale condanna potesse manifestarsi sotto forma di effetto sorpresa, «quale risposta giudiziaria postuma, improvvisa ed inedita, tale da sorprendere l’affidamento del soggetto agente come formatosi al momento del compimento dei fatti, in cui erano presenti segnali discernibili, anticipatori del realizzarsi dell’incriminazione e della punizione».

Alla luce di tali argomentazioni, deve ritenersi del pari inconferente ai fini della risoluzione del caso specifico l’eventuale richiamo al concetto di ignoranza incolpevole che il ricorrente potrebbe eventualmente invocare a suo favore: ciò non solo perché in tal caso occorrerebbe rivisitare il giudizio ricostruttivo del fatto e dell’atteggiamento soggettivo dell’imputato (operazione preclusa dal passaggio in giudicato della sentenza) ma anche perché, secondo i costanti orientamenti della nostra giurisprudenza, l’errore scusabile escluderebbe la colpevolezza solo nel caso in cui vi sia una pacifica posizione giurisprudenziale che abbia indotto l’agente a confidare nella correttezza della propria condotta. Situazione, quest’ultima, sicuramente non riferibile ai difformi orientamenti interpretativi vigenti all’epoca dei fatti in materia di concorso esterno.

Attraverso questa pronuncia le Sezioni Unite, anch’esse interpreti del continuo dialogo fra le Corti e del sistema ormai multilivello ed integrato delle fonti, escludono una rilettura del principio di legalità e ribadiscono il ruolo di filtro svolto dai giudici nazionali ed in specie dalla Corte costituzionale, i cui precipui richiami giurisprudenziali sottolineano il difficile compito a questa affidato, di decidere fino a che punto le interpretazioni evolutive della Corte EDU possano ridefinire confini e portata applicativa di istituti di diritto interno, anche nel settore penale, in cui più forte dovrebbe essere la sovranità statale. Da queste decisioni, d’altra parte, deriva l’opportunità di riflettere tanto sulla dimensione sostanziale, in action, cui è esposto il nostro principio di legalità formale quanto sul ruolo, di fatto, affidato al potere giudiziario, il cui carattere mobile lo designa quale soggetto istituzionale più adatto a svolgere un ruolo costituzionale di definizione dei rapporti fra i diversi ordini giuridici e di integrazione dei diversi sistemi regolatori.

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