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Mandato di arresto europeo: il principio di protezione equivalente ne impone la conformità alla CEDU


@ Image credits: Council of Europe




A cura di Emanuele Sylos Labini


Nell'ottica di sviluppare un contenuto che possa essere di ausilio per studiosi e professionisti, a partire dal mese di ottobre 2020, verrà pubblicato con cadenza regolare l'Osservatorio sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la cui influenza diretta sugli orientamenti degli ordinamenti nazionali pare destinata sempre più ad aumentare.

La rubrica contiene una rassegna di stralci di pronunce accuratamente selezionate secondo la rilevanza delle questioni trattate, corredate da un breve riferimento alla massima, nonché all'indicazione dell'articolo della Convenzione violato.

Per i casi che non riguardano il nostro ordinamento, in assenza di una traduzione ufficiale in lingua italiana, si è preferito procedere ad un breve riassunto della quaestio in analisi, a cui segue il riferimento diretto al link ove è presente la pronuncia in lingua inglese.




Mandato di arresto europeo: il principio di protezione equivalente ne impone la conformità alla CEDU


Corte EDU, sezione V, 25 marzo 2021, Ricorsi n. 40324/16 e n. 12623/17, Bivolaru e Moldovan c. Francia

(sentenza in lingua:http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-208760)

Massima

L’attuazione del mandato di arresto europeo è contraria all’art. 3 CEDU e non rispetta il principio di protezione equivalente se le autorità dell’esecuzione, sufficientemente informate sull’esistenza di un rischio reale e concreto, non accertano che la consegna del soggetto condannato non esponga lo stesso a trattamenti inumani e degradanti.


Caso

Il caso origina dal ricorso proposto da due cittadini rumeni che, in seguito all’emissione di un mandato di arresto europeo, sono stati consegnati dalle autorità francesi a quelle rumene per l’attuazione della pena detentiva. I condannati sostengono che l’esecuzione del mandato di arresto europeo (MAE), implicando la loro sottoposizione, in Romania, a trattamenti inumani e degradanti, sarebbe stata contraria all’art. 3 CEDU.

Dopo aver ricostruito il quadro giuridico europeo (Carta dei diritti fondamentali, TFUE, decisione quadro 2002/584/GAI, direttiva 2011/95/UE), aver richiamato la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in merito all’esecuzione dei MAE e le disposizioni previste nel codice di procedura penale francese, la Corte EDU, al fine di vagliare le doglianze avanzate dai ricorrenti, richiama la presunzione di protezione equivalente e ne chiarisce i principi generali. In particolare, i giudici europei ribadiscono come, nell’applicare il diritto dell’Unione europea, gli Stati contraenti rimangano comunque soggetti agli obblighi che hanno liberamente assunto aderendo alla Convenzione. Tali obblighi, tuttavia, devono essere valutati rispetto alla presunzione di protezione equivalente: così, una misura adottata in base ad obblighi giuridici internazionali deve ritenersi giustificata se l’organizzazione in questione garantisce ai diritti fondamentali una protezione almeno equivalente, vale a dire, se non identica, paragonabile a quella prevista nella Convenzione. Se si ritiene che l’organizzazione offra tale protezione equivalente, si deve presumere che gli Stati rispettino i requisiti della Convenzione quando adempiono gli obblighi legali derivanti dalla loro appartenenza all’organizzazione. In tal senso, richiamando la propria precedente giurisprudenza, la Corte EDU precisa come l’applicazione della presunzione di protezione equivalente nell’ordinamento giuridico dell’UE sia subordinata a due condizioni: l’assenza di qualunque margine di manovra o di discrezionalità per le autorità nazionali nell’adempimento dell’obbligo che deriva dal diritto UE e il dispiegamento del pieno potenziale dei meccanismi di controllo e monitoraggio dei diritti fondamentali previsti nel diritto UE.

Tali principi, prosegue la Corte, si applicano a tutti i meccanismi di mutuo riconoscimento previsti nel diritto UE. Nondimeno, la presunzione di protezione equivalente può essere confutata nel contesto di un determinato caso. La Corte, in tale ipotesi, è chiamata a verificare che il principio del mutuo riconoscimento non sia applicato automaticamente e meccanicamente, a discapito dei diritti fondamentali.

Così, se ai tribunali degli Stati, che sono entrambi parti della Convenzione e membri dell’UE, viene presentata una denuncia seria e motivata nel contesto della quale si sostiene che vi è una manifesta insufficienza nella tutela di un diritto garantito nella Convenzione e che il diritto UE non permette di rimediare a tale insufficienza, questi non possono rinunciare ad esaminare questo reclamo per il solo fatto che stanno applicando il diritto UE.

Riportando tali principi ai ricorsi proposti dai cittadini rumeni, la Corte, ribadendo che suo precipuo compito è di esaminare solo le decisioni delle autorità francesi in merito all’esecuzione del MAE, giunge a due diversi esiti.

Così, con riferimento al ricorso proposto dal secondo ricorrente, il quale aveva basato le sue doglianze sulla giurisprudenza della Corte già formatasi sulle spaventose condizioni di detenzione che caratterizzano diverse carceri rumene, i giudici europei, posta la ricorrenza di entrambi i requisiti necessari per l’applicazione del principio di protezione equivalente, ritengono che le autorità nazionali francesi fossero in possesso di una ricostruzione dei fatti abbastanza solida da poter concludere che l’esecuzione del MAE avrebbe comportato, per il ricorrente, un rischio concreto di subire presso le carceri rumene trattamenti contrari all’art. 3 CEDU.

In particolare, ritenendo, fra l’altro, che i giudici francesi non abbiano preso adeguatamente in considerazione la giurisprudenza della Corte EDU sulle condizioni di detenzione nelle carceri rumene e, in particolare, sullo spazio minimo di detenzione assegnato ad ogni soggetto, la Corte di Strasburgo rileva l’esistenza di una manifesta insufficienza di tutela dei diritti fondamentali tale da ribaltare la presunzione di tutela equivalente. Vi è stata, di conseguenza, violazione dell’art. 3 CEDU.

Diversa la conclusione con riferimento al primo ricorrente il quale, secondo la Corte EDU, non avrebbe fornito all’autorità giudiziaria di esecuzione una base fattuale solida, sufficientemente dettagliata e sufficientemente approfondita, idonea a prospettare l’esistenza di un rischio reale di violazione dell’art. 3 CEDU tale da rifiutare, per questo motivo, l’esecuzione del MAE.


(Stralcio a cura di Giuliana Costanzo)


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