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Pesca in zona vietata con manomissione del gps di bordo: è reato di falsa rotta




Di Ilaria Romano e Daniela Mazzotta




Sommario: 1. Introduzione – 2. Il fatto – 3. Il reato di falsa rotta ex art. 1140 cod. nav. – 4. Il reato di inosservanza di norme sulle segnalazioni ex art. 1218 cod. nav. – 5. Il principio di specialità fra illecito penale ed illecito amministrativo – 6. Conclusioni


1. Introduzione


Con la sentenza n. 28497 del 14 ottobre 2020, la Terza Sezione Penale della Cassazione ha stabilito che sussistono i reati di cui agli artt. 1140 cod. nav. (“Falsa rotta”) e 1218 cod. nav. (“Inosservanza di norme sulle segnalazioni”) anche quando la condotta consista nella navigazione con un dispositivo satellitare manomesso.


2. Il fatto


La pronuncia riguarda il caso di un motopeschereccio, adibito alla pesca c.d. a strascico, che veniva equipaggiato da sistema AIS (apparecchiatura di bordo obbligatoria e funzionante mediante tecnologia satellitare), collegato a un GPS esterno allo scopo di dissimulare la reale posizione dell’imbarcazione. Tale operazione consentiva al prevenuto di recarsi sottocosta, e di pescare così in zona vietata, mentre l’artefatta apparecchiatura di bordo lo localizzava altrove. Impugnando l’ordinanza del Tribunale di Cosenza, che a sua volta rigettava l’istanza di riesame avverso il sequestro preventivo del natante, il prevenuto proponeva ricorso in cassazione, lamentando la violazione degli artt. 1140 e 1218 cod. nav.

Secondo la ricostruzione prospettata dall’indagato, “la condotta contestata integra esclusivamente l’illecito amministrativo di cui all’art. 10 lett. m) comma 1 del d.lgs. 4/2012, disposizione che è norma speciale rispetto agli artt. 1140 e 1218 del codice della navigazione, con riferimento alle modalità dell’azione ed al suo oggetto” (cfr. sent., pag. 2).

La sentenza in commento offre l’opportunità di riflettere non solo sui dati normativi di cui al codice della navigazione, ma altresì di soffermarsi sul rapporto intercorrente tra questi e la fattispecie amministrativa citata, facendo applicazione dei principi di cui agli artt. 9 l. 689/1981 e 15 c.p.


3. Il reato di falsa rotta ex art. 1140 cod. nav.


Occorre innanzitutto partire dal testo dell’art. 1140 cod. nav., il quale al c. 1, qui in rilievo, recita: “Il comandante della nave o dell’aeromobile, che, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o per recare ad altri un danno, fa falsa rotta, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa fino a 1.032 euro”.

Trattasi di reato proprio, integrabile solo dal comandante del mezzo nautico (o aeronautico), esclusivo del sistema penale della navigazione. La fattispecie richiede la sussistenza del dolo specifico, che si concretizza nello scopo alternativo di arrecare un ingiusto profitto a sé o ad altri ovvero un danno ad altri. La prescrizione inoltre contempla una condotta libera, realizzabile con ogni mezzo, ivi inclusa, quindi, la manomissione degli strumenti di bordo atti a governare la navigazione marittima.

Il codice della navigazione prevede altresì, all’art. 1143, rubricato “Impiego abusivo della nave o dell’aeromobile”, un’ipotesi di reato contigua, ma più ampia nella condotta e meno grave nella sanzione: quest’ultima, per la sua realizzazione, non postula infatti che il comandante modifichi la rotta preventivamente autorizzata, bensì solo l’impiego a vantaggio proprio o altrui, in danno del proprietario o dell’armatore, del mezzo e della sua connaturata utilità economica.

Così compendiati i connotati del reato di falsa rotta, giova analizzare se, nel caso concreto, la fattispecie può dirsi integrata.

Ebbene, non vi è dubbio circa la realizzazione del reato da parte del comandante del motopeschereccio, né sulla sussistenza del dolo specifico di procurare a sé un profitto ingiusto, consistente nello scopo precipuo di effettuare operazioni di pesca a strascico in zone in cui la pesca era inibita (cfr. sent., pag. 4: “trovandosi lo stesso, in realtà, sottocosta, ad una distanza dalla costa vietata e ad una velocità di navigazione compatibile con la pesca a strascico”). Non solo veniva accertato, infatti, che il soggetto “stesse navigando all’interno di quella zona ad una velocità compatibile con tale tipologia di pesca”, ma “i successivi controlli effettuati a bordo del peschereccio, una volta rientrato in porto, evidenziavano la presenza a bordo di tutti gli attrezzi necessari alla pesca a strascico oltre che circa sette chili e mezzo di prodotto ittico sotto misura e la circostanza che erano in corso le operazioni di selezione e incassettamento del pesce” (cfr. sent., pag. 5).

Merita dunque soffermarsi sull’elemento oggettivo del reato. La norma in esame punisce il comandante che “fa falsa rotta”, senza altro specificare: pertanto deve imprescindibilmente intendersi sul significato di tale locuzione. È principio discendente da buon senso e prudenza, ancor prima che da diritto, che ogni navigazione marittima o aerea debba essere preceduta dalla pianificazione di una rotta navale o di un piano di volo, affinché siano ridotti al minimo i rischi derivanti da tali attività, pericolose ma indispensabili, e pertanto consentite dal nostro ordinamento e dettagliatamente regolamentate.

Tanto è ancor più vero con riferimento alle imbarcazioni da pesca, la cui regolamentazione della rotta è dettata dal Regolamento di esecuzione (UE) n. 404/2011, fonte sovranazionale direttamente applicabile nel nostro Paese che prevede un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca.

Nel considerando n. 5) si legge che “gli Stati membri devono utilizzare un sistema di controllo dei pescherecci via satellite al fine di sorvegliare efficacemente le attività di pesca esercitate dai loro pescherecci ovunque si trovino, nonché le attività di pesca esercitate nelle loro acque”.

Più specificamente, l’art. 19 dispone che: “1. I dispositivi di localizzazione via satellite installati a bordo dei pescherecci dell'Unione garantiscono, a intervalli regolari, la trasmissione automatica dei seguenti dati al Centro di controllo della pesca (CCP) dello Stato membro di bandiera: a) identificazione del peschereccio; b) ultima posizione geografica del peschereccio, con un margine di errore inferiore ai 500 metri ed un margine di affidabilità del 99 %; c) data e ora (espressa in «tempo universale» o «UTC») in cui è stata rilevata detta posizione del peschereccio; e d) velocità istantanea e rotta del peschereccio. 2. Gli Stati membri provvedono affinché i dispositivi di localizzazione via satellite non consentano la registrazione o la trasmissione di posizioni false e non possano essere alterati manualmente.

Dunque, l’effettivo esercizio del controllo operativo dei pescherecci, nell’ambito del Vessel Sistem Monitoring (sistema di monitoraggio basato su satellite), viene attuato grazie all’obbligo imposto a detti natanti, di lunghezza fuori tutto pari o superiore a 12 metri, di installare un dispositivo fisso che consenta la loro localizzazione e identificazione automatica.

Da tanto discende che non può considerarsi “falsa rotta” esclusivamente la condotta del comandante che modifichi “un itinerario specificamente prestabilito ed individuato da un provvedimento delle Autorità marittime o da altro provvedimento di natura normativa, dal quale l’imbarcazione si discosta senza autorizzazione delle competenti Autorità marine”, come propugnato dalla difesa del ricorrente (cfr. sent., pag. 2), bensì l’espressione deve interpretarsi in maniera sistematica ed evolutiva, avendo riguardo tanto al progresso tecnologico in materia di tracciamento e rilevazione delle rotte nautiche, quanto al contesto più ampio della cogente normativa comunitaria.

Più nel dettaglio, il dispositivo di geolocalizzazione dei pescherecci consta di un ACS (c.d. blue box, presente nella rete di trasmissione INMARSAT non manipolabile) e di un AIS (apparecchiatura di bordo obbligatoria e funzionante attraverso tecnologia satellitare). Entrambi i sistemi, quando funzionano correttamente, devono produrre dati di posizionamento coincidenti.

Nel caso di specie, invece, “i dati rilevati dai due sistemi non coincidevano e dalla lettura dei tabulati era emerso che l’AIS inviava dati relativi alla posizione geografica del peschereccio, diversi da quelli reali dell’ACS”. Ciò perché si riscontrava “la presenza a bordo di un AIS collegato ad un GPS esterno non omologato e con strumentazione non del tipo consentito; l’apparecchio AIS di bordo, non appena acceso, acquisiva automaticamente i dati satellitari della posizione nautica che provenivano da un GPS esterno, i cui valori erano alterati rispetto alla reale posizione nautica del peschereccio; dal menù del GPS esterno era, infatti, possibile modificare la posizione dell’unità di pesca, facendola risultare tramite il segnale AIS su punti di coordinate differenti” (cfr. sent., pag. 5).

Appare chiaro, quindi, come per la Suprema Corte anche la navigazione con dispositivo satellitare manomesso integri il reato di falsificazione della rotta. Tanto più ove si consideri che scopo della normativa eurounitaria è quello di rendere la rotta “sempre costantemente conosciuta dalle autorità” (cfr. sent., pag. 5). Ciò da una parte rende irrilevante la comunicazione preventiva della stessa, atteso che le autorità competenti possono averne conoscenza in tempo reale. E, d’altra parte, fa sì che “la non corrispondenza al vero della rotta (…) va[da] interpretata non solo come rotta difforme da quella tradizionalmente rilevabile ed indicata in forma cartacea nel giornale di navigazione ma anche come rotta difforme da quella rilevabile con l’utilizzo dell’obbligatorio sistema di segnalazione satellitare”.

Tanto considerato, per gli ermellini il collegio cautelare ha fatto buon governo dei suesposti principi di diritto, procedendo ad una accurata disamina dei fatti e ritenendo l’astratta configurabilità dei reati, oggetto tuttavia di imputazione ancora provvisoria – atteso che la pronuncia in analisi afferisce alla fase delle indagini preliminari.


4. Il reato di inosservanza di norme sulle segnalazioni ex art. 1218 cod. nav.


Merita un cenno il secondo reato contestato, previsto e punito dall’art. 1218 cod. nav. e rubricato “inosservanza di norme sulle segnalazioni”. L’articolo prevede che “1. Il comandante della nave e del galleggiante marittimi o dell’aeromobile, nazionali o stranieri, che non osserva le norme sulle segnalazioni relati e alla circolazione marittima o aerea, è punito con l’arresto fino a sei mesi ovvero con l’ammenda da 51 a 1.032 euro. 2. Se il fatto è commesso dal comandante della nave adibita alla navigazione interna la pena è dell’ammenda da 10 a 206 euro”.

Trattasi di reato proprio, contravvenzionale, noto agli studiosi del settore per essere una vera e propria “norma penale in bianco che estende l’ambito di tutela a tutte le violazioni di prescrizioni sulle segnalazioni per la circolazione marittima e aerea presenti in leggi, regolamenti, disposizioni amministrative” (1).

In merito a tale reato, deve farsi riferimento a quanto riportato nel precedente paragrafo a proposito di falsificazione della rotta. Infatti, l’uso scorretto del GPS, oltre a segnalare una posizione errata e a configurare così il reato di cui all’art. 1140 cod. nav., comportava la contemporanea inosservanza delle norme sulla segnalazione marittima. Nella specie, con riferimento al tipo di imbarcazione da pesca, venivano violate le medesime norme di matrice eurounitaria precedentemente citate, che impongono il costante controllo della posizione dei pescherecci. Ed invero, per i giudici di legittimità, “nelle segnalazioni marittime (…) devono rientrare anche quelle relative al sistema obbligatorio di trasmissione satellitare della rotta” (cfr. sent., pag. 6).

Peraltro, i reati concorrono in quanto volti a salvaguardare beni giuridici differenti: mentre quello di falsa rotta tutela l’interesse patrimoniale del proprietario o dell’armatore di evitare il danno che derivi da una traiettoria diversa da quella da seguire, quello di inosservanza di norme sulle segnalazioni presidia la sicurezza della navigazione (2).


5. Il principio di specialità fra illecito penale ed illecito amministrativo


Con la sentenza in esame, la Suprema Corte torna a pronunciarsi su un tema a lungo dibattuto, tanto in giurisprudenza quanto in dottrina, quale il rapporto intercorrente fra gli illeciti amministrativi e gli illeciti penali, risolto dall’art. 9 della L. 24 novembre 1981, n. 689, in forza del quale: “Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale.

Come si evince dallo stesso tenore letterale, la citata norma estende ai rapporti fra illecito penale e illecito amministrativo di fonte statale il principio di specialità di cui all’art. 15 c.p. (3), dettato in materia di concorso apparente di norme all’interno del sistema penale, al dichiarato fine di individuare la norma applicabile nell’ipotesi in cui “lo stesso fatto” venga punito sia penalmente sia dal punto di vista amministrativo.

Giova rammentare che il concorso apparente di norme si realizza quando un determinato fatto sembra essere disciplinato da più norme penali differenti, ma soltanto una di esse troverà effettivamente applicazione nel caso concreto. I criteri discretivi individuati dalla dottrina consistono nei principi di specialità, sussidiarietà e consunzione o assorbimento.

L’art. 15 c.p. ravvisa testualmente la specialità quale metro risolutivo di tali impasses, la cui operatività presuppone, tuttavia, che una delle norme contenga tutti gli elementi costitutivi di un’altra disposizione generale, con l’aggiunta di un ulteriore contenuto, specializzante, e che ambedue le prescrizioni regolino la “stessa materia” (a titolo esemplificativo, si pensi alla fattispecie di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis c.p., che presenta elementi specializzanti specificativi rispetto alla più generale ipotesi di violenza privata ex art. 610 c.p.).

Data la mancanza di una definizione normativa del concetto di “stessa materia”, la dottrina si è divisa fornendo molteplici e non univoche interpretazioni. Mentre alcuni autori preferiscono valorizzare l’identità del bene giuridico tutelato, altri – in via maggioritaria – sostengono che il fatto astrattamente previsto dalla norma debba essere riconducibile a due diverse fattispecie giuridiche avendo, quindi, riguardo al fatto astrattamente inteso, così come la norma giuridica lo descrive. Secondo altra parte della dottrina, infine, il riferimento alla stessa materia comporterebbe la valutazione del fatto concreto, non presupponendo l’esistenza in astratto di un rapporto di genere a specie.

Ora, fermo quanto premesso, rileva in tale sede ribadire il riferimento operato anche dall’art. 9 della l. n. 689 del 1981 al principio di specialità nelle ipotesi in cui ad uno stesso fatto appaiano prima facie applicabili sia una norma penale sia una norma amministrativa.

Ed è proprio avvalendosi di una interpretazione puramente testuale che il ricorrente argomenta di aver integrato, con la propria condotta, esclusivamente l’illecito amministrativo di cui agli artt. 10, lett. m), c. 1 e 11 del d.lgs. n. 4/2012, recante “Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura”, avente asseritamente carattere speciale rispetto agli artt. 1140 e 1218 del codice della navigazione.

Più precisamente, il menzionato c. 1 dell’art. 10, lett. m) del d.lgs n. 4/2012, vieta di “navigare con un dispositivo di localizzazione satellitare manomesso, alterato o modificato, nonché interrompere volontariamente il segnale, ovvero navigare, in aree marittime soggette a misure di restrizione dell’attività di pesca, con rotte o velocità difformi da quelle espressamente disposte dalle normative europea e nazionale, accertate con i previsti dispositivi di localizzazione satellitare”; secondo il successivo art. 11 della stessa legge, salvo che il fatto costituisca reato, la violazione del predetto divieto è soggetto al pagamento di una sanzione amministrativa.

Orbene, chiamata a pronunciarsi al riguardo, la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che, malgrado alcune differenze testuali fra l’art. 9 l. 689/1981 e l’art. 15 c.p. (laddove l’oggetto della convergenza della pluralità di norme viene indicata con la locuzione “stesso fatto” e non “stessa materia”), entrambe non possono che far riferimento al principio di specialità, il quale va inteso necessariamente come rapporto tra fattispecie tipiche astratte, e non tra fattispecie concrete; ne consegue che la locuzione “stessa materia” debba essere tradotta come “stessa fattispecie astratta”, o anche “stesso fatto tipico di reato”.

Più nel dettaglio, la Terza Sezione sottolinea che il dettato normativo di cui all’art. 9 l. 689/1981 non prevede espressamente alcuna clausola di riserva in favore di una fattispecie sanzionata più gravemente, a differenza dell’art. 15 c.p. Tuttavia, ciò non preclude al legislatore “di prevedere espressamente la clausola nei singoli casi” (cfr. sent., pag. 7), come appunto nel testo dell’art. 11 d. lgs. n. 4/2012 (“salvo che il fatto costituisca reato”).

Siffatta ermeneusi, già consolidata nella giurisprudenza di legittimità (viene menzionata, in tal senso, la pronuncia - a Sezione Unite - n. 1963 del 21 gennaio 2011) è condivisa anche dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 97 del 3 aprile 1987, pronunciandosi sul concorso tra fattispecie di reato e violazione di natura amministrativa, ebbe ad evidenziare la necessità di un confronto tra le fattispecie tipiche e astratte che, almeno a prima vista, sembrerebbero convergere su di un fatto naturalisticamente inteso.

Da qui, il conseguente rigetto del motivo avanzato dal ricorrente, apparendo evidente che le condotte dei reati contestati (quali la falsificazione della rotta al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio e l’inosservanza delle norme sulle segnalazioni relative alla circolazione marittima da parte) e quella della violazione amministrativa (ossia navigare con un dispositivo di localizzazione satellitare manomesso, alterato o modificato, nonché interrompere volontariamente il segnale, ovvero navigare in aree marittime soggette a misure di restrizione dell’attività di pesca) siano differenti e non integranti “lo stesso fatto”.


6. Conclusioni


La pronuncia analizzata ha il pregio di chiarire la distinzione tra le fattispecie penali previste dal codice della navigazione agli artt. 1140 e 1218, e le sanzioni amministrative di cui agli artt. 10 e 11 del d.lgs 4/2012, più specificamente volte a “tutelare le risorse biologiche” marine e a “prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale” (cfr. art. 10 cit.).

Con riguardo alla fattispecie concreta, in ossequio alle norme disciplinanti il concorso tra reati e illeciti di natura amministrativa, la Terza Sezione Penale ha ritenuto applicabili le disposizioni penali contemplate dal codice della navigazione. Ciò in virtù non solo della differente tipizzazione delle fattispecie astratte in sé considerate, ma anche dell’espressa clausola di riserva (“Salvo che il fatto costituisca reato”) ex art. 11 d.lgs. 4/2012, che richiama le condotte di cui al precedente art. 10.

Per tale ragione, la Corte ha rigettato il ricorso (per vero affidato anche ad altri due motivi, dichiarati inammissibili) e condannato il ricorrente alle spese processuali.



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(1) Cfr. S. Rossi, Il sistema penale della navigazione. Contributo allo studio del diritto penale marittimo, ESI, Napoli, 2020, pag. 164. Cfr. altresì F. Morandi, Contravvenzioni marittime ed aeronautiche, in Enc. dir., Agg., II, Milano, 1998, pag. 274.

(2) Cfr., da ultimo, Cass. Pen., Sez. III, n. 14792 del 12 febbraio 2004.

(3) V. art. 15 c.p. – “Materia regolata da più leggi penali o da più disposizioni della medesima legge penale”: “Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito.

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