di seguito uno stralcio della pronuncia
(a cura di Giovanni De Bernardo)
(Cass. pen., sez. I, 23/02/2021, n. 6922)
“RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 12 aprile 2017, la Corte di assise di appello di Bari, in riforma della pronuncia di condanna in primo grado, assolveva K.T.M. dai reati di riduzione in schiavitù (capo a) e di tratta di persone (capo b), accertati, secondo le contestazioni, dal (OMISSIS), in danno di cittadini bulgari affetti da gravi menomazioni fisiche o mentali, "acquistati" nella nazione di origine e condotti a Bari, ove, ridotti alla condizione di "oggetti di proprietà", sottoposti a punizioni corporali e patimenti di ogni tipo, erano costretti a chiedere l'elemosina, consegnando il ricavato all'imputato.
La Corte di cassazione con sentenza in data 17 luglio 2018 annullava con rinvio la decisione di "ribaltamento" - in assoluzione - della condanna di primo grado, in ragione di rilievi in ordine alla non corretta applicazione delle regole di valutazione delle fonti dichiarative, costituite dai verbali di dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari delle persone offese D.I.A., R.G.I., A.G.A. e D.D.P., dalla denuncia presentata da H.H.D. (altra persona offesa deceduta all'epoca del dibattimento), dalle dichiarazioni dibattimentali e nel corso delle indagini preliminari di S.D.S. (altra persona offesa), dalle testimonianze in dibattimento degli appartenenti alle associazioni di volontariato che avevano prestato assistenza e soccorso alle persone offese, prima e durante le indagini.
All'esito del conseguente giudizio ai sensi dell'art. 627 c.p.p., la Corte di assise di appello di Bari, con sentenza resa in data 6 giugno 2019, confermava la decisione di condanna in precedenza pronunziata in primo grado.
Le motivazioni dei Giudici di secondo grado, a smentita dei rilievi difensivi mossi con i motivi di appello, rappresentavano la piena attendibilità probatoria della ricostruzione riportata dagli appartenenti alle associazioni di cui sopra, con riferimento sia al contenuto delle narrazioni da loro raccolte dalle persone offese (conoscenze "de relato"), sia a quanto dai medesimi testimoni personalmente verificato in ordine alla pratica di accattonaggio e di dislocazione nella città cui erano destinate le persone offese, al loro stato e alle loro condizioni, sia fisiche che mentali, all'epoca dell'ascolto (testimonianza in tal caso invece diretta).
Inoltre, i Giudici di appello consideravano, a sinergica conferma dell'assunto accusatorio, quanto riferito dai testi di polizia giudiziaria e da loro documentato fotograficamente e tramite videoriprese, avuto riguardo ai risultati dei servizi di osservazione svolti nei luoghi individuati come la base dell'attività delittuosa, costituita da un'area dismessa in cui rientravano la sera le persone offese e l'imputato dimorava, all'interno di una roulotte, insieme alla propria convivente.
In tale contesto probatorio venivano, altresì, letti e valorizzati i verbali di dichiarazioni predibattimentali rese da H.H.D. e D.S.S., entrambi risultati ritualmente acquisiti ai sensi dell'art. 512 c.p.p. (…)”
CONSIDERATO IN DIRITTO
(…)
2. (…) In particolare, le doglianze non si misurano con le diffuse argomentazioni esposte in sentenza a proposito dell'attendibilità delle dichiarazioni "de relato", laddove esse riportano puntuali notizie apprese direttamente dalle vittime, risultate ampiamente convergenti quanto alla ricostruzione dei fatti di cui alle imputazioni e via via asseverate da quanto constatato dagli stessi testi e grazie ai servizi di polizia, sotto il profilo dei riscontri a conferma dell'attendibilità.
La difesa incorre nell'errore di pretendere altre prove autonome, senza neppure misurarsi con le ulteriori osservazioni dei giudici di merito che hanno dato conto di come la ricostruzione oggettiva dei fatti contestati neppure fosse stata disconosciuta dall'imputato nel corso delle proprie dichiarazioni a discolpa.
Né i rilievi si confrontano con i passaggi motivazionali che spiegano come l'individuazione dell'imputato nella persona responsabile di detti fatti sia risultata assolutamente certa alla stregua delle individuazioni operate dalle vittime, degli esiti dei servizi di polizia giudiziaria e del falso alibi, così come dimostrato dalla ragionata lettura delle dichiarazioni di K., avendosi contezza che lo stesso volesse far credere la comparsa di altro soggetto cui riferire le proprie condotte. In questo contesto vengono introdotti dalla difesa meri apprezzamenti alternativi in ordine all'esito delle indagini costituite dai servizi di osservazione, senza considerare che, da quanto rappresentato in sentenza (…), emerge che durante tali servizi venivano colti chiari elementi, a conferma delle accuse, sia dai comportamenti delle vittime, sia dal relazionarsi di K. alle stesse. Si ha cioè la dimostrazione che egli è l'autore dei fatti, a prescindere dalla possibile percezione a distanza di certi atti di esplicita violenza e costrizione. Si tratta, dunque, di doglianze o aspecifiche o manifestamente infondate.
3. Il secondo motivo pone rilievi altrettanto inammissibili, poiché, richiamando parziali contenuti di atti processuali, invoca diverse valutazioni che si contrappongono a quelle di merito in ordine alle condizioni di fatto idonee a ravvisare i presupposti di cui all'art. 512 c.p.p., con riferimento all'utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali di D.S.S..
Fermo restando che, non rappresentandosi la decisività dell'acquisizione di cui si eccepisce l'inutilizzabilità, a fronte di un compendio probatorio più vasto, costituito da tanti altri elementi individuati come convergenti, l'eccezione di cui trattasi sconta il difetto di ammissibilità anche sotto il profilo dell'aspecificità. (…)”
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