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Viola l’art.6§1 CEDU la condanna che non si basi sulla valutazione diretta di testimonianze decisive

SGS - Redazione

@ Image credits: Council of Europe




OSSERVATORIO CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO


A cura di Emanuele Sylos Labini


Nell'ottica di sviluppare un contenuto che possa essere di ausilio per studiosi e professionisti, a partire dal mese di ottobre 2020, verrà pubblicato con cadenza regolare l'Osservatorio sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la cui influenza diretta sugli orientamenti degli ordinamenti nazionali pare destinata sempre più ad aumentare.

La rubrica contiene una rassegna di stralci di pronunce accuratamente selezionate secondo la rilevanza delle questioni trattate, corredate da un breve riferimento alla massima, nonché all'indicazione dell'articolo della Convenzione violato.

Per i casi che non riguardano il nostro ordinamento, in assenza di una traduzione ufficiale in lingua italiana, si è preferito procedere ad un breve riassunto della quaestio in analisi, a cui segue il riferimento diretto al link ove è presente la pronuncia in lingua inglese.




Viola l’art. 6§1 CEDU la condanna che non si basi sulla valutazione diretta di testimonianze decisive.


Corte EDU, sez. II, 10 novembre 2020, Ricorso n. 57575/14, Dan c. Moldavia (n. 2)

(sentenza in lingua: http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-205818)


Massima

Viola il diritto a un equo processo di cui all’art. 6 § 1 CEDU e il principio di immediatezza, la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d’appello sulla base di dichiarazioni decisive rese, in primo grado, da testimoni poi non riascoltati, direttamente e in contraddittorio, dai giudici di secondo grado.


Caso

Il caso origina da una presunta condotta di corruzione: si riteneva, infatti, che il ricorrente, cittadino moldavo e all’epoca dei fatti preside di una scuola superiore, contattato per il trasferimento di un ragazzo presso il suo istituto, avesse chiesto, per tale adempimento, il pagamento di una tangente. Nonostante il presunto scambio, fra denaro e documenti utili al predetto trasferimento, fosse avvenuto sotto gli occhi di alcuni agenti della polizia che operavano sotto copertura, il ricorrente, in primo grado, veniva assolto in virtù del fatto che le testimonianze rese risultavano fra loro contraddittorie e che, in generale, non vi erano prove decisive e attendibili circa il fatto che il ricorrente avesse chiesto e accettato il denaro.

Tale verdetto veniva ribaltato in appello. I giudici di secondo grado, effettuando una nuova valutazione delle testimonianze già rese, ritenevano che le stesse fossero affidabili e che fra queste, anzi, non vi fosse alcuna contraddizione.

In seguito alla suddetta condanna, Il ricorrente, nel 2006, si rivolgeva già una prima volta alla Corte EDU la quale, ritenendo che la Corte d’appello non avesse sentito direttamente i testimoni ma si fosse limitata a interpretare diversamente dichiarazioni rese in altro grado di giudizio, sosteneva che vi fosse stata una violazione dell’art. 6 § 1 CEDU.

Il caso veniva, quindi, riesaminato dalle Corti nazionali: la Corte d’appello e la Suprema Corte di Giustizia ribadivano la condanna.

Ritenendo di essere incorso in una trappola architettata dalla polizia, sostenendo che il corruttore passivo, adesso deceduto, avesse agito in qualità di agente provocatore e constatando che la Corte d’appello aveva sentito direttamente solo parte dei testimoni coinvolti, il ricorrente si rivolgeva nuovamente alla Corte EDU allegando l’avvenuta violazione dell’art. 6 § 1 CEDU, con riferimento al diritto a che la causa sia esaminata equamente da un tribunale.

Dopo aver constatato che il ricorso concerne una doglianza diversa da quella già esaminata nel 2006, essendo relativa alla correttezza del procedimento riaperto proprio in seguito alla precedente pronuncia, la Corte rammenta i principi derivanti dall’art. 6 § 1 CEDU. In particolare, i giudici europei ricordano che, affinché i diritti garantiti in tale disposizione siano effettivi, concreti e non illusori, occorre che le osservazioni delle parti siano effettivamente “sentite”: in altri termini, per effetto di tale disposizione, il tribunale ha il dovere di condurre un esame adeguato delle osservazioni, degli argomenti e delle prove addotte dalle parti. A tal fine, ribadendo anche quanto precisato nell’art. 6 § 3, lett. d, la Corte chiarisce il principio secondo cui, prima che un imputato possa essere condannato, occorre che tutte le prove contro di lui siano prodotte in sua presenza e in un’udienza pubblica in vista del contraddittorio; in generale, occorre sempre che all’accusato sia data la possibilità di contestare e interrogare un testimone a suo carico. Fondamentale, in tal senso, è la garanzia del principio di immediatezza, secondo cui all’imputato deve essere garantita la possibilità di confrontarsi con uno o più testimoni in presenza del giudice o dei giudici che decideranno su quella causa: solo attraverso tale passaggio, sarà possibile ai giudici formarsi un convincimento sul comportamento e sulla credibilità dei testimoni. Ciò significa che qualsiasi cambiamento nella composizione della Corte dovrebbe comportare una nuova e diretta audizione di un testimone importante, pena la violazione del richiamato principio di immediatezza. D’altra parte, secondo i giudici di Strasburgo, una possibile violazione di tale principio si potrebbe verificare anche quando una corte d’appello ribalti il verdetto della corte di grado inferiore senza un nuovo esame delle prove e senza riascoltare, in contraddittorio fra le parti, i testimoni; salvo che, in tal caso, la corte sottoponga il procedimento ad un esame scrupoloso adottando misure di controbilanciamento che permettano di considerare le prove sufficientemente affidabili.

Riportando i suddetti principi al caso di specie, i giudici europei ritengono che, anche se l’imputato aveva acconsentito alla lettura delle dichiarazioni rese dai testimoni, la Corte d’appello, al fine di garantire il diritto ad un processo equo, avrebbe dovuto adottare misure positive volte ad ascoltare nuovamente i testimoni assenti. E ciò, tanto più in ragione del fatto che, ad un attento esame delle testimonianze rese, la Corte EDU ha rinvenuto incongruenze fra le dichiarazioni rilasciate, nel 2006, dai tre testimoni poi riascoltati nel 2013. La Corte d’appello moldava, invece, ha condannato il ricorrente senza fornire adeguate motivazioni sulla colpevolezza dell’imputato, basandosi su un video incompleto e, soprattutto, senza ascoltare direttamente quattro su sette dei testimoni su cui era stato costruito, in primo grado, l’impianto probatorio e la cui nuova testimonianza avrebbe potuto costituire una prova decisiva. Di conseguenza, vi è stata violazione dell’art. 6 § 1 CEDU


(Riassunto a cura di Giuliana Costanzo)

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