di seguito uno stralcio dalla pronuncia
(a cura di Remo Trezza)
“In tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformità, ove la riparazione o la sostituzione risultino, rispettivamente, impossibile ovvero eccessivamente onerosa, va riconosciuto al consumatore, benché non espressamente contemplato dall’art. 130, comma 2, cod. consumo, ed al fine di garantire al medesimo uno standard di tutela più elevato rispetto a quello realizzato dalla Direttiva n. 44 del 1999, il diritto di agire per il solo risarcimento del danno, quale diritto attribuitogli da altre norme dell’ordinamento, secondo quanto disposto dall’art. 135, comma 2, del cod. consumo”.
(…) Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1494 c.c. e degli artt. 130 e 135 del Codice del consumo. La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte ha riconosciuto che, una volta ritenuto eccessivamente oneroso per il venditore l’intervento volto all’eliminazione dei vizi, il compratore non poteva pretendere, a titolo di danno emergente, il costo occorrente per la sostituzione di tutte le perline, ma solo il risarcimento danno estetico conseguente al loro restringimento, pari al costo dell’eventuale intervento eseguibile per eliminare le fessure. In questo modo la corte di merito ha negato l’integrale risarcimento del danno emergente riconosciuto al compratore secondo le norme del codice civile. Si sostiene invece che, ai sensi dell’art. 135 del codice del consumo, i rimedi ordinari previste dal diritto italiano concorrono con quelli previsti a tutela del consumatore dalla disciplina specifica, se è vero che la normativa comunitaria ha trovato ingresso nell’ordinamento interno per incrementare le garanzie del consumatore e non certo per ridurle.
(…) Nel caso in cui il bene consegnato al consumatore presenti un difetto di conformità del quale il professionista debba rispondere, il consumatore può far valere nei confronti del professionista inadempiente i rimedi contemplati dall’art. 130 del codice del consumo: riparazione del bene, sostituzione dello stesso, riduzione del prezzo, risoluzione del contratto. Tra i diritti che competono al consumatore, “nel caso di difetto di conformità”, il comma 2 dell’art 130 cod. consumo non annovera il diritto al risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento. Ciò non significa peraltro che il consumatore che abbia ricevuto un bene non conforme al contratto non possa esercitare, nei confronti del professionista, delle pretese risarcitorie: il diritto al risarcimento del danno rientra senz’altro fra i “diritti” attribuiti al consumatore da “altre norme dell’ordinamento giuridico” italiano (art. 135 cod. consumo).
(…) Costituisce consolidato orientamento di questa Corte, in materia di garanzia per vizi nella vendita, che il compratore può esercitare l’azione di danni da sola, cioè senza chiedere né la risoluzione, né una riduzione del prezzo. Or bene analoga facoltà non può essere negata al consumatore, qualora ricorra una delle situazioni di cui al comma 7 dell’art. 130 cod. consumo, che contempla in primo luogo proprio la situazione che la riparazione o la sostituzione siano impossibili o eccessivamente onerose. È osservazione comune come l’art. 135 faccia espressamente salvi i «diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento giuridico» allo scopo di assicurare all’acquirente di beni di consumo uno standard di tutela più elevato rispetto a quello realizzato dalla direttiva n. 44/1999. Secondo la corrente opinione dottrinaria, condivisa dalla giurisprudenza, il risarcimento del danno ha lo scopo di porre il compratore in una posizione economicamente equivalente non a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse concluso il contratto o se l’avesse concluso a un prezzo inferiore, ma a quella in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi. «La circostanza che un determinato prodotto si riveli inidoneo ad essere adoperato secondo le modalità indicate dal venditore e possa esserlo solo con modalità più dispendiose (per tempi di lavorazione e quantità da impiegare) ben può esser valutata dal giudice di merito ai fini del risarcimento del danno, oltreché sotto l’aspetto della riduzione del prezzo poiché quest’ultima ristabilisce l’equilibrio patrimoniale solo con riguardo al valore della cosa venduta ma non elimina il danno determinato dal venditore, consistente nel costo delle maggiori quantità di prodotto utilizzato e di manodopera impiegata» (Cass. n. 1153/1995, cfr. altresì in materia di appalto, Cass. n. 4161/2015).
(…) In tema di responsabilità civile, la domanda con la quale un soggetto chieda il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, senza ulteriori specificazioni, si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta (Cass. n. 20643/2016). Insomma la domanda di risarcimento di danni salva espressa specificazione deve ritenersi comprensiva di tutti i danni (Cass, n. 7193/2015).
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