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GIUDICATI INCONCILIABILI E CORRUZIONE: REVISIONE PER IL CORRUTTORE CONDANNATO

di seguito uno stralcio della pronuncia

(a cura di Ilaria Romano)

(Cass. Pen., Sez. III, 17 febbraio 2021, n. 6172)


“2. È dirimente osservare che la Corte d'appello ha errato nel dichiarare con ordinanza, secondo la procedura de plano prevista dall'art. 634 c.p.p., comma 1, l'inammissibilità dell'istanza di revisione, la quale non è stata emessa fuori dalle ipotesi previste dagli artt. 629 e 630 c.p.p., ovvero senza l'osservanza delle disposizioni previste dagli art. 631, 632, 633 e 641, nè appare ictu oculi manifestamente infondata.

3. Invero, come affermato da questa Corte, in tema di giudizio di revisione, nel caso in cui la richiesta si fondi sull'inconciliabilità tra giudicati ai sensi dell'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), il controllo giurisdizionale che può condurre alla declaratoria dell'inammissibilità dell'istanza per manifesta infondatezza deve avere ad oggetto la verifica dell'irrevocabilità della sentenza che si vuole abbia introdotto il fatto antagonista e la mera pertinenza di tale decisione ai fatti oggetto del giudizio di condanna, non potendo tale controllo estendersi alla "tenuta" della sentenza oggetto della domanda di revisione rispetto ai contenuti della ulteriore pronuncia, che va obbligatoriamente realizzato in contraddittorio (…).

3. La Corte d'appello, invece, ha dichiarato l'inammissibilità dell'istanza sul presupposto che si tratti di soltanto di "una diversa valutazione sui medesimi fatti su cui le due sentenze si fondano" (…), ossia quella di condanna per il P., quale privato corruttore, e quella di assoluzione per l' A., nella veste di pubblico ufficiale corrotto.

Così facendo, la Corte d'appello non solo ha esteso il controllo sulla tenuta della sentenza di condanna,

rispetto ai fatti accertati con la sentenza definita di assoluzione nei confronti del soggetto in ipotesi corrotto, ma ha anche omesso di considerare che, nella vicenda in esame, si è in presenza di un reato a concorso necessario, il quale esige, per la sussistenza del fatto oggetto di incriminazione, la presenza indefettibile di almeno due soggetti, vale a dire il privato corruttore e il pubblico ufficiale corrotto.

Le sentenze in esame, pertanto, approdando a risultati divergenti in ordine alla sussistenza del fatto, non contengono semplicemente valutazioni giuridiche differenti, bensì rilevano ai fini della revisione ai sensi dell'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), venendo meno gli elementi costitutivi del reato, a concorso necessario, oggetto della sentenza di cui si chiede la revisione.

Questa Corte, del resto, ha affermato il principio, pur con riferimento alla sentenza ex art. 444 c.p.p.,

ma estensibile per identità di ratio al caso in esame, secondo cui è suscettibile di revisione, a norma dell'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), la sentenza irrevocabile di applicazione della pena emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. nei confronti del privato corruttore, nel caso di passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione del delitto di corruzione, posta l'inconciliabilità delle due pronunce per l'impossibilità assoluzione per insussistenza del fatto a carico del pubblico ufficiale imputato di ipotizzare il predetto reato in assenza dell'attività coordinata del corruttore e del corrotto. (…)

4. Analoghe conclusioni sono state affermate con riferimento ad altre figure di reato necessariamente plurisoggettive, come le fattispecie associative, per la cui sussistenza è richiesta la partecipazione di almeno tre persone: l'esclusione della presenza del numero minimo di partecipanti all'associazione richiesto dalla legge per effetto di una sentenza definitiva assolutoria implica non un semplice contrasto valutativo in relazione alle posizioni dei coimputati del medesimo reato definitivamente condannati, ma il venir meno degli stessi elementi costitutivi del reato oggetto della sentenza di cui si chiede la revisione.

Si è difatti affermato che, in tema di revisione, il fatto dell'esistenza dell'associazione per delinquere di stampo mafioso posto a fondamento della sentenza di condanna, o di applicazione della pena, nei

confronti di un associato, non può conciliarsi con altra sentenza penale irrevocabile che assolva, "perché il fatto non sussiste", tutti gli altri imputati della stessa associazione (…).

5. La Corte d'appello, pertanto, avrebbe dovuto verificare l'applicabilità dei principi ora ricordati nel

contraddittorio tra le parti, verificando, in particolare, se i fatti accertati con la sentenza di condanna

siano o meno conciliabili con quelli accertati dalla sentenza assolutoria, con la formula perché il fatto

non sussiste, laddove in quest'ultima si è affermato che "il positivo accertamento in merito al fatto che P.E. aveva avuto contatti con diversi soggetti non consente di affermare con certezza che l'importo di Euro 200 a cui fa riferimento P.E. come somma che P.P. doveva inserire nella busta unitamente agli oggetti a lui destinati fosse stata concordata con A.D., piuttosto che con altri soggetti a cui si fa riferimento nel corso delle conversazioni" (...). Si tratta di valutazioni di fatto che la Corte territoriale avrebbe dovuto introdurre nella fase del giudizio, sottoponendo tali aspetti al contraddittorio tra le parti.”



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