La proprietà (dal latino proprietas) è un diritto reale disciplinato, nel nostro ordinamento, dall’art. 42 della Costituzione e dagli artt. 832 e ss. del codice civile. La Carta Costituzionale stabilisce che la proprietà è pubblica o privata, e che quest’ultima è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i limiti, i modi di acquisto e di godimento.
“Art. 42 Cost.: La proprietà' e' pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà' privata e' riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.”
Quindi, mentre la costituzione riconosce e garantisce la proprietà privata, è la legge che la disciplina nello specifico, come espressamente rimandato dalla stessa carta costituzionale.
Il richiamato articolo 832 del c.c. stabilisce che “il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico.”
In quanto diritto reale, il diritto di proprietà presenta le caratteristiche dell’assolutezza, cioè può essere fatto valere erga omnes, contro tutti; e dell’immediatezza del potere sulla cosa, senza che sia necessaria la cooperazione di altri soggetti.
Caratteri tipici di tale diritto poi sono: la pienezza, nel senso che è possibile ogni lecita utilizzazione, salvo gli atti di emulazione; la perpetuità, ossia la proprietà di regola non ha limiti temporali; la elasticità, nel senso che i poteri del proprietario possono essere compressi per la possibile coesistenza sullo stesso bene di altri diritti reali; e la imprescrittibilità, ossia il diritto di proprietà non si può perdere per non uso, se non per usucapione.
È inoltre caratterizzato da un’ampiezza in senso verticale - la proprietà del suolo si estende al sottosuolo con tutto ciò che vi si contiene, e il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non arrechi danno al vicino ( art. 840 c.c.) - ed orizzontale - ciascuna proprietà fondiaria si estende nell’ambito dei propri confini -.
Il proprietario può quindi godere e disporre del bene liberamente. Tale libertà incontra però delle limitazioni, ben sancite e definite dal nostro codice civile all’art 833, il quale pone il divieto dei cc.dd. atti emulativi. La ratio di tali limitazioni risiede nella necessità di salvaguardare i beni socialmente apprezzabili, ponendo un espresso divieto dell’esercizio del diritto di proprietà in modo arbitrario e che possa portare al compimento di atti che non hanno alcun interesse o utilitàma il solo scopo di arrecare molestie ad altri (a tal proposito Cass. sentenza n. 1209 del 22 gennaio 2016: ...“in atti privi di alcun interesse per il proprietario ma che, per le modalità con cui sono posti in essere, abbiano l’effetto di recare pregiudizio ad altri“...) configurando un abuso di diritto.
L’atto emulativo consta di due elementi necessari che concorrono: uno oggettivo che consiste nella mancanza di utilità del proprietario; e l’altro soggettivo, chiamato animus nocendi, cioè la consapevolezza e la volontà di nuocere o arrecare danno ai terzi (Cass., sez II, 9 ottobre 1998, n. 9998).
Pertanto, per aversi atto emulativo vietato dalla norma dell’art. 833 c.c. è necessario che il fatto, corrispondente all’esercizio del diritto, sia privo di utilità per chi lo compie e sia posto in essere con la esclusiva finalità di arrecare nocumento e molestia ad altri, senza appunto essere giustificato da alcuna considerazione utilitaristica dal punto di vista economico e sociale.
È, ad esempio, considerato atto emulativo stendere dei panni sul balcone oscurando la finestra dell’appartamento del piano inferiore se vi siano valide alternative che consentano di non oscurare le suddette finestre (Trib. di Genova, sez III civile n. 656/2015); piantare alberi nel proprio fondo allo scopo esclusivo di togliere la vista al vicino e la costruzione in aderenza al muro del vicino con il fine di chiusura delle luci (Cass. n. 12759/1992); e ancora l’ installazione sul muro di recinzione del fabbricato comune di un contenitore somigliante a una telecamera nascosta fra i rami degli alberi posto in direzione del balcone del vicino (Cassazione civile, sez. II, 11 aprile 2001, n. 5421).
I supremi giudici, con sentenza Cass. sez. II civ. 20/10/1997 n. 10250, hanno ritenuto non emulativa la mancata potatura di piante ad alto fusto che impedisce al proprietario del fondo vicino il godimento del panorama. E questo perché l’atto emulativo non può consistere anche in una condotta omissiva, sia perché la norma, con il termine “atti” non potrebbe che riferirsi alle sole condotte positive, sia perché non è configurabile un atto emulativo se manca qualsiasi vantaggio per il suo autore, ed il “non fare” caratteristico delle condotte omissive, determina sempre un vantaggio in termini di risparmio di spesa e o di energia psicofisica (Cass. sez. II civ. 20/10/1997 n. 10250).
Non può configurarsi come atto emulativo la pretesa del proprietario di un fondo volta a far valere in giudizio contro il vicino il rispetto di un obbligo contrattuale, come l’osservanza nelle costruzioni della distanza pattiziamente stabilita, senza che rilevi che tale violazione non si sia tradotta in un danno concreto ed effettivo ( Cass., sez. II, 19 febbraio 1996, n.1267).
Non può qualificarsi come atto emulativo anche la condotta del proprietario del fondo servente, il quale recinge la sua proprietà, ancorché gravata da un diritto di servitù di passaggio, per tutelare indirettamente anche i suoi diritti alla sicurezza e alla riservatezza, se, conformemente alla disposizione ex art. 1064 c.c. il transito per l’utilitas del fondo dominante è libero e comodo; né viola l’art. 833 c.c. se nella chiusura non è configurabile un atto emulativo (Cassazione civile, sez. II, 13 aprile 2001, n. 5564).
Dato che, come già ben sopra argomentato, è necessario che l’atto di esercizio del diritto privo di utilità debba anche avere il solo scopo di nuocere o molestare altri affinché possa essere considerato atto emulativo, non può considerarsi tale l’azione del proprietario che tende all’eliminazione di una veduta aperta dal vicino nel muro di confine ( Cass., sez. II, 5 luglio 1999, n. 6949).
Si evince quindi, come la mancanza di utilità e l’animus nocendi siano elementi che debbano essere valutati caso per caso sulla base degli elementi che emergono in corso di causa.
La dottrina prevalente ha inquadrato la fattispecie dell’atto emulativo nello schema generale dell’art. 2043 c.c., sia pure come figura speciale in relazione ai particolari requisiti richiesti perché si possa verificare questa fattispecie (Dossetti 1988, 5).
Altra parte della dottrina è, invece, contraria a tale inquadramento, e questo perché ciò implicherebbe che il soggetto attivo debba essere ritenuto responsabile anche nel caso di mera colpa e ciò in contrasto col richiesto e necessario requisito dell’animus nocendi.
Quindi, il proprietario che compie atti di emulazione può essere perseguito con azione tesa al risarcimento del danno e se possibile la reintegrazione in forma specifica.
La violazione all’obbligo di cui all’art. 833 c.c. determina pertanto il diritto del privato, rispetto al quale si è verificata la violazione, di richiedere la restitutio in integrum; ed il diritto dello stesso privato al risarcimento del danno patrimoniale qualora si tratti di comportamento antigiuridico.
È tuttavia da sottolineare come tale azione è da esperire solo qualora non ci siano tipici rimedi di tutela, infatti la portata dell’art. 833 è residuale.
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