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Un monito per corteggiatori ostinati: le condotte petulanti reiterate e invadenti integrano reato!

di seguito uno stralcio della pronuncia

(a cura di Giuliana Costanzo)

(Cassazione penale, sez. V, 01 marzo 2021, n. 7993)


“(…) 2. (…). La sentenza impugnata è coerente con l’orientamento consolidato di questa Corte di legittimità, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di molestie previsto dall’art. 660 c.p., per petulanza si intende un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua ed inopportuna nell’altrui sfera di libertà. La pluralità di azioni di disturbo integra l’elemento materiale costitutivo del reato (…).

Nel caso del ricorrente, le condotte accertate, inizialmente qualificate nel prisma delittuoso degli atti persecutori, si inscrivono senza dubbio nel paradigma di tipicità del reato di molestie, sotto un profilo squisitamente oggettivo: i saluti insistenti e confidenziali, con modalità invasive della sfera di riservatezza altrui (…); gli incontri non casuali e cercati nel bar dove lavorava la vittima (in cui l’imputato entrava ripetutamente con pretesti, senza consumare nulla, ma con il solo scopo di incontrare la persona offesa e tentare approcci con lei), come anche per strada, in un’occasione inseguendola e salendo sul suo stesso autobus; la sosta sotto la sua casa; la manifesta rappresentazione della vittima al ricorrente di non gradire tali atteggiamenti di corteggiamento petulante ed ossessivo e, ciononostante, la perseveranza di questi nel reiterarli inducono a ritenere del tutto corretta la configurazione del reato di molestie nel comportamento dell’imputato, pur in assenza di atteggiamenti aggressivi o in qualsiasi modo violenti.

E del resto, non è necessario superare la soglia della mera petulanza verbale o anche solo gestuale per ritenere configurato il reato di cui all’art. 660 c.p. (…) ma soltanto vi è bisogno di realizzare un’effettiva e significativa intrusione nell’altrui sfera personale che assurga al rango di “molestia o disturbo” ingenerati dall’attività di comunicazione in sè considerata, ed anche a prescindere dal suo contenuto (…).

In tale contesto ermeneutico, senz’altro configura il reato di molestie il tentativo dell’imputato di instaurare un rapporto comunicativo e confidenziale con la vittima, che non lo conosceva e non intendeva avere relazioni di alcun genere con lui, col fine di corteggiarla e mediante una condotta di petulante reiterazione di diffuse sequenze di saluto e contatto, invasive dell’altrui sfera privata, con intromissione continua e sgradita nella vita della persona destinataria dei suoi comportamenti e lesione della sua sfera di libertà.

Deve pertanto affermarsi che configura il reato di molestie un corteggiamento ossessivo e petulante, volto ad instaurare un rapporto comunicativo e confidenziale con la vittima, manifestamente a ciò contraria, realizzato mediante una condotta di fastidiosa, pressante e diffusa reiterazione di sequenze di saluto e contatto, invasive dell’altrui sfera privata, con intromissione continua, effettiva e sgradita nella vita della persona offesa e lesione della sua sfera di libertà.

3. Sono manifestamente infondati anche gli argomenti difensivi spesi per contestare l’affermazione di responsabilità del ricorrente sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato.

Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di molestie o disturbo alle persone, è sufficiente la coscienza e volontà della condotta, accompagnata dalla consapevolezza della oggettiva idoneità di quest’ultima a molestare o disturbare, senza valida ragione, il soggetto che la subisce, mentre non rileva la ricerca delle eventuali pulsioni motivazionali dalle quali il soggetto attivo sia stato spinto ad agire, le quali, proprio perchè attinenti alla sola sfera dei motivi, non hanno incidenza alcuna sulla finalità oggettiva e penalmente rilevante dall’azione, in relazione alla quale si configura il dolo (…), neppure quando coincidano con il fine di raggiungere la soddisfazione di un asserito proprio diritto (…).

Nella fattispecie sottoposta all’esame del Collegio, tale consapevolezza del ricorrente è stata provata con sicurezza, poichè la stessa persona offesa ha dichiarato di aver espresso più volte all’imputato il proprio disappunto per un corteggiamento tanto ostinato quanto sgradito e ritenuto esplicitamente molesto, pressante e intollerabilmente indiscreto.

4. Il terzo motivo di ricorso, relativo alla dosimetria sanzionatoria ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche, è anch’esso manifestamente infondato.

La gravità del fatto, a giudizio della Corte d’Appello, è ampiamente desumibile dalla condotta posta in essere dall’imputato, ripetuta per circa un anno e mezzo, sino a costringere la vittima - si rammenta - anche a chiedere l’intervento dei Carabinieri, ad un certo punto della vicenda.

Proprio la durata considerevole delle molestie e l’insensibilità dimostrata dal ricorrente al fastidio ed al malessere della persona offesa, pur dichiaratogli espressamente, hanno indotto i giudici di secondo grado a ritenere adeguata e proporzionata la sanzione inflitta in primo grado (…), benchè in assenza di atteggiamenti violenti o minacciosi (…).

Le medesime ragioni vengono poste a fondamento del diniego delle circostanze attenuanti generiche, del tutto in linea con l’onere motivazionale sintetico richiesto dalla giurisprudenza di legittimità (…).

5. Anche gli ultimi due argomenti di censura non hanno alcun fondamento.

5.1. Quanto alla determinazione del danno provocato dal reato, il motivo di ricorso proposto non si confronta con gli orientamenti consolidati di questa Corte regolatrice, che ha più volte affermato come la liquidazione dei danni morali, attesa la loro natura, non può che avvenire in via equitativa, dovendosi ritenere assolto l’obbligo motivazionale mediante l’indicazione dei fatti materiali tenuti in considerazione e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente in base a quali calcoli è stato determinato l’ammontare del risarcimento (…).

5.2. Infine, l’ultimo profilo di censura, riferito alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, è inammissibile anch’esso per manifesta infondatezza. (…)”.


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