di seguito uno stralcio della pronuncia
(a cura di Ilaria Romano)
(Cass. Pen., Sez. III, 2 marzo 2021, n. 8213)
“SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza del (…), il Tribunale di (…) ha assolto l'imputato, con la formula "perché il fatto non sussiste", dal reato di cui all'art. 81 c.p., art. 609-bis c.p., comma 1, art. 609-septies c.p., comma 4, n. 3), a lui contestato perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, nella qualità di dipendente della Croce Rossa Italiana ed incaricato della mansione di coordinatore dei volontari, in più occasioni costringeva con violenza e minaccia o mediante abuso di autorità la dipendente interinale A.L. a compiere e subire atti sessuali nel corso di turni di servizio da lui predisposti, accompagnando tali azioni dalla minaccia ripetutamente rivolta alla persona offesa di non farla più lavorare presso la Croce Rossa (capo a). Con la medesima sentenza, il Tribunale ha anche dichiarato non doversi procedere - per mancanza di querela - per il reato di cui all'art. 609-bis c.p., comma 1, art. 609-septies c.p., comma 4, n. 3), contestato all'imputato perché, nella qualità già menzionata al capo a), nel corso di un turno di servizio con la volontaria P.A., costringeva la medesima con violenza e abuso di autorità, a subire atti sessuali, consistiti in baci sulla bocca e palpazioni sul seno e delle parti intime, posti in essere nonostante l'espresso rifiuto della persona offesa ed i suoi tentativi di allontanarlo con le mani (capo b). (…)
2. Avverso la sentenza d'appello ha presentato ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di (…), il quale ha dedotto violazione di legge e vizi della motivazione, in relazione alla ritenuta insussistenza della condizione di procedibilità d'ufficio ex art. 609-septies c.p., comma 4, n. 3), limitatamente al capo a) dell'imputazione.
Il ricorrente contesta la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che i protagonisti della vicenda rivestivano un ruolo paritario di incaricati di servizio pubblico, e che la soggezione della persona offesa nei confronti dell'imputato derivava esclusivamente dalle millanterie di quest'ultimo in merito alla possibilità di incidere negativamente sulla sua attività lavorativa, benché egli, in realtà, non avesse alcuna voce in capitolo. Sul punto, il ricorrente ritiene che la Corte d'appello non abbia adeguatamente considerato la qualifica rivestita in ambito lavorativo dall'imputato, il quale si atteggiava in modo autoritario in forza della sua posizione di supremazia, tanto da indurre la persona offesa al compimento e alla tolleranza di atti sessuali, in quanto quest'ultima, sentendosi in soggezione rispetto a tale posizione, temeva che l'imputato avrebbe potuto influire sul suo percorso lavorativo. A ciò si aggiunge che la posizione di supremazia del medesimo rispetto alla posizione dalla persona offesa, si evincerebbe chiaramente dai documenti acquisiti agli atti, dai quali risulta che l'imputato, all'epoca dei fatti, era responsabile dipendente della Croce Rossa Italiana, con la mansione di commissario dei volontari, incaricato della predisposizione dei turni dei volontari stessi. Tale qualità sarebbe rilevante ai fini, sia della procedibilità, sia della commissione del reato nei confronti della persona offesa, posto che l'assunzione periodica dei dipendenti interinali dipendeva anche dalla loro effettiva disponibilità a svolgere turni come volontari; elemento su cui l'imputato aveva fatto leva per ottenere il proprio soddisfacimento sessuale, prevaricando in tal modo la vittima. Peraltro, tale circostanza troverebbe conferma nelle dichiarazioni rese dai testi B. - in qualità di responsabile dei dipendenti - e F. - in qualità di coordinatore dei servizi e attività di autoparco - i quali hanno dichiarato che in ipotesi di carenza di personale di servizio, si rifacevano alle conoscenze dell'imputato, e hanno affermato che, anche in ordine alla scelta dei volontari a cui rinnovare il contratto, R. aveva un ruolo certamente determinante, in quanto, lavorando con gli interinali poteva riferire della capacità lavorativa, della collaborazione e la disponibilità da loro mostrata. In definitiva, la Corte territoriale avrebbe omesso di argomentare sugli elementi idonei a delineare la posizione di supremazia ricoperta dall'imputato che, lungi dall'essere mera millanteria, integrerebbe la circostanza di cui all'art. 609-septies c.p., comma 4, n. 3), con conseguente procedibilità d'ufficio del reato in danno di A.L.. (…)
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso del Procuratore generale è fondato.
Deve infatti rilevarsi che, in relazione alla ritenuta insussistenza della condizione di procedibilità d'ufficio del reato di cui al capo a), ex art. 609-septies c.p., comma 4, n. 3), ("se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni"), la sentenza impugnata reca una motivazione insufficiente.
Va richiamato il principio - peraltro non contestato dalle parti e fatto proprio dalla sentenza impugnata - secondo cui, in tema di reati sessuali, la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio assume rilevanza, ai fini della procedibilità di ufficio, ai sensi dell'art. 609-septies c.p., comma 4, n. 3, non solo quando si pone in diretta relazione con la condotta criminosa, ma anche nei casi in cui, pur collocandosi il comportamento illecito fuori dall'esercizio delle funzioni, la posizione pubblicistica del colpevole abbia agevolato la commissione dell'abuso, rendendo la persona offesa maggiormente vulnerabile per il metus o per la soggezione psicologica derivante dalle funzioni esercitate (ex plurimis, Sez. 3, n. 9878 del 21/01/2020, Rv. 278670 - 02; Sez. 3, n. 3637 del 05/11/2013, dep. 27/01/2014, Rv. 258926). Ed è evidente che la richiamata soggezione psicologica è configurabile anche nel caso in cui sia l'imputato sia la persona offesa abbiano la qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, ma il primo si trovi in posizione sovraordinata rispetto alla seconda, come - secondo l'ipotesi accusatoria - sarebbe avvenuto nel caso di specie.
Invero, la Corte d'appello ricostruisce in maniera puntuale e rigorosa l'intera dinamica dei fatti, ritenendo attendibile la persona offesa - contrariamente al giudice di primo grado - in relazione agli abusi perpetrati dall'imputato nei suoi confronti. Infatti, nella sua analitica ricostruzione, si sofferma sia sul profilo psicologico della vittima, sia sull'importanza del dato probatorio rappresentato dal filmato, dal quale si comprende in modo inequivocabile che la persona offesa non era consenziente alle avances dell'imputato, e ciononostante l'imputato ha persistito nella sua condotta prevaricatrice e violenta.
Tanto premesso, però, la sentenza impugnata ritiene che non sia emersa prova certa della sussistenza della condizione da cui discenderebbe la procedibilità d'ufficio per il reato, affermando che l'insussistenza del requisito dell'abuso della funzione di incaricato di pubblico servizio era desumibile dal fatto che entrambe le parti rivestivano tale ruolo; con la conseguenza che la soggezione della vittima non derivava dalla posizione pubblicistica dell'imputato, analoga alla propria, bensì dipendeva esclusivamente dalle millanterie di quest'ultimo in merito alla possibilità di incidere sulla sua attività lavorativa, benché egli non avesse in realtà nessuna voce in capitolo. Si tratta di affermazioni che non tengono conto della prospettazione accusatoria, secondo la quale la superiorità gerarchica dell'imputato rispetto alla vittima, era desumibile non solo da un provvedimento della Croce Rossa del (OMISSIS), che qualificava quest'ultimo come "responsabile dei turni dei servizi operativi" dei volontari e "Commissario del Gruppo Vds", con un "ruolo a lui demandato per tutte le componenti volontaristiche", ma anche dalle dichiarazioni rese da altri responsabili ( B. e F.), i quali - nell'ipotesi accusatoria - avrebbero confermato la superiorità gerarchica dell'imputato, affermando che lo stesso aveva un ruolo certamente determinante sulla scelta dei nominativi per il rinnovo dei contratti, in quanto, lavorando con gli interinali, poteva riferire della capacità lavorativa, della collaborazione e della disponibilità mostrata dai lavoratori durante il periodo di assunzione. Non avendo tenuto conto del complesso del quadro istruttorio, la motivazione della sentenza impugnata circa la non configurabilità di una posizione di sovraordinazione dell'imputato rispetto ai volontari deve ritenersi insufficiente, con la conseguenza che la sentenza deve essere annullata, limitatamente a tale profilo, con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Torino, perché proceda a nuovo argomentato giudizio sul punto, con libertà di esito. (…)”
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