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Assicurazione sulla vita a favore di un terzo: alcuni principi stabiliti dalle Sezioni Unite



Le Sezioni Unite civili, con sentenza n. 11421 del 30 aprile 2021, sono state chiamate a risolvere un conflitto in tema di designazione del beneficiario in tema di assicurazione sulla vita.

L’ordinanza che ha rimesso la questione alle Sezioni Unite è la n. 33195/2019 del 16 dicembre 2019, la quale, premesso il riferimento alla disciplina dell’assicurazione a favore di terzo dettata dall’art. 1920 c.c., ha richiamato i precedenti della Cassazione inerenti alla questione della individuazione dei “beneficiari” e della misura dell’indennizzo da liquidare in loro favore, con particolare riguardo al caso in cui le polizze contengono la rituale e generica espressione “legittimi eredi”.

L’ordinanza ha riportato, in particolare, dapprima passaggi argomentativi contenuti nella sentenza n. 9388 del 1994, secondo la quale nel contratto di assicurazione contro gli infortuni a favore del terzo, cui si applica la disciplina dell’assicurazione sulla vita, la disposizione contenuta nell’art. 1920, co. 3, c.c. deve essere interpretata nel senso che il diritto del beneficiario alla prestazione dell’assicuratore trova fondamento nel contratto ed è autonomo, cioè non derivate da quello del contraente. Pertanto, quando in un contratto di assicurazione contro gli infortuni, compreso l’evento morte, sia stato previsto, fin dall’origine, che l’indennità venga liquidata ai beneficiari designati o, in difetto, agli eredi, tale clausola andrebbe intesa nel senso che il meccanismo sussidiario di designazione del beneficiario e idoneo a far acquistare agli eredi i diritti nascenti dal contratto stipulate a loro favore. L’individuazione dei beneficiari-eredi andrebbe poi effettuata attraverso l’accertamento della qualità di erede secondo i modi tipici di delazione dell’eredità (testamentaria o legittima) e le quote tra gli eredi, in mancanza di un specifico criterio di ripartizione, dovrebbero presumersi uguali, essendo contrattuale la fonte regolatrice del rapporto e non applicandosi, quindi, la disciplina codicistica in materia di successione con le relative quote.

Viene quindi ricordata la sentenza n. 15407 del 2000, che diede seguito alla interpretazione della sentenza n. 9388 del 1994. L’ordinanza interlocutoria de qua, evidenziato come le due difformi interpretazioni giurisprudenziali conducono ad esiti notevolmente divergenti anche sotto il profilo delle attribuzioni economiche che avvantaggiano i beneficiari, ha infine così condensato le questioni su cui chiedere la decisione alle Sezioni Unite: “a) se in materia di assicurazione sulla vita in favore di un terzo, in presenza della diffusa formula contrattuale, presente anche nel contratto in esame e genericamente riferita ai “legittimi eredi”, detta espressione sia meramente descrittiva di coloro che, in astratto, rivestono la qualità di eredi legittimi o se debba intendersi, invece, che sia riferita ai soggetti effettivamente destinatari dell’eredità. b) se la designazione degli eredi in sede testamentaria possa interferire, in sede di liquidazione di indennizzo, con la individuazione astratta dei legittimi eredi. c) se, in tale seconda ipotesi, il beneficio indennitario debba ricalcare la misura delle quote ereditarie spettanti ex lege o se la natura di “diritto proprio” sancita dalla norma (cfr. art. 1920 u. co c.c.) imponga una divisione dell’indennizzo complessivo fra gli aventi diritto in parti uguali”.

La giurisprudenza della Cassazione ha da epoca risalente sostenuto che nell’assicurazione sulla vita, come nell’assicurazione contro gli infortuni a favore di terzo, si applica la disciplina ricostruttiva desumibile dal terzo comma dell’art. 1920 c.c., secondo cui “per effetto della designazione il terzo acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione”. La norma è riconducibile alla più generale figura del contratto a favore di terzi, con la differenza che il terzo nell’assicurazione sulla vita acquista il suo diritto ai correlati vantaggi, e dunque all’indennità, per effetto non della stipulazione, ma della designazione. II diritto del beneficiario, perciò, nasce in suo favore dal contratto, sicché egli può rivolgersi direttamente al promittente assicuratore per ottenere la prestazione, restando comunque vincolato alle clausole ed alle pattuizioni contenute nella polizza di assicurazione che ne definiscono l’estensione e le modalità di esercizio (Cass. civ., Sez. III, 4 aprile 1975, n. 1205; Cass. civ., Sez. I, 9 maggio 1977, n. 1779; Cass. civ., Sez. I, 28 luglio 1980, n. 4851; Cass. civ., Sez. I, 3 dicembre 1988, n. 6548; Cass. civ., Sez. I, 1 aprile 1994, n. 3207).

Tale univoco quadro giurisprudenziale venne però scalfito, come illustra l’ordinanza interlocutoria, da Cass. civ., Sez. III, 29 settembre 2015, n. 19210. Nella fattispecie, a fronte della clausola di una polizza di assicurazione sulla vita che prevedeva come beneficiari gli eredi testamentari o legittimi dello stipulante, la compagnia aveva proceduto alla liquidazione dell’indennizzo dividendolo in tre parti eguali fra la moglie dello stesso ed i due nipoti, figli della sorella a lui premorta, subentrati per rappresentazione.

La sentenza n. 19210 del 2015 affermò che l’orientamento espresso essenzialmente nelle sentenze n. 9388 del 1994 e n. 4484 del 1996 non rivelasse una “corretta applicazione dei criteri ermeneutici della materia contrattuale”. In particolare, l’assunto che clausole simili si devono interpretare nel senso che impongano soltanto l’individuazione di chi sia erede dello stipulante, ma non anche il rinvio alle quote di ripartizione dell’eredità secondo le regole della successione legittima o secondo le regale della successione testamentaria, ad avviso della sentenza n. 19210 del 2015 sarebbe “privo di giustificazione sul piano dell’esegesi letterale, atteso che, secondo il senso letterale dell’espressione «erede» ... (la stessa) non può che implicare un riferimento non solo al modo in cui tale qualità è stata acquisita e, quindi, alla fonte della successione, ma anche alla dimensione di tale acquisizione e, dunque, al valore della posizione ereditaria secondo quella fonte”. In sostanza, “il dire che qualcuno è erede di un soggetto ... secondo l’espressione letterale dovrebbe evocare tanto chi lo è quanta anche in che misura lo è”. Ciò vieppiù in presenza di clausole, come quella su cui pronunciava la sentenza n. 19210 del 2015, le quali contengano un espresso riferimento alla natura della devoluzione, cioè alla devoluzione legittima o testamentaria. Ad un’identica conclusione interpretativa condurrebbe il criterio dell’interpretazione secondo la comune intenzione delle parti, ex art. 1362 c.c., avendo riguardo tanto allo stipulante che intenda disporre del proprio patrimonio per testamento, quanta allo stipulante che non intenda testare, come alla società assicuratrice. L’equipollenza tra vantaggi dell’assicurazione per gli eredi beneficiari e misura della successione sarebbe inoltre imposta dal criterio della interpretazione teleologica, ovvero interrogando “il buon senso dell’uomo comune”, giacché “intendere le dette clausole come le intende l’orientamento da cui si dissente” conduce alla “assoluta incomprensibilità, di fronte alla stipulazione della spettanza agli eredi legittimi o testamentari, di un significato che non sia quello del riferimento alla devoluzione ereditaria sia quanta all’individuazione degli eredi sia quanta alla misura della loro successione”. Affermava quindi la sentenza n. 19210 del 2015 che il secondo comma dell’art. 1920 c.c. attribuisca al terzo erede un diritto proprio e principio che riguarda il rapporto contrattuale fra l’assicuratore e il terzo, ma che non si comprende come possa giustificare la totale pretermissione della stessa volontà contrattuale ricostruita letteralmente e teleologicamente”. Seppure lo scopo dell’orientamento inviso alla sentenza n. 19210 del 2015 fosse poi quello di semplificare la liquidazione dell’indennizzo da parte dell’assicuratore, consentendogli di farne quote uguali, tale pronuncia avvertiva come potrebbero comunque residuare contrasti fra gli eredi sulle rispettive qualità, mentre il criterio dettato dall’art. 1314 c.c. starebbe a dimostrare che costoro non possono pretendere l’indennizzo che in proporzione della loro quota ereditaria.

Cass. civ., Sez. II, 21 dicembre 2016, n. 26606, e Cass. civ., Sez. Vl-3, 15 ottobre 2018, n. 25635, si sono, infine, ricollocate nel filone giurisprudenziale iniziale, dunque maggioritario.

La sentenza n. 26606 del 2016, a proposito della interpretazione delle clausole dei contratti di assicurazione in caso di morte dell’assicurato che individuano i beneficiari negli eredi legittimi o testamentari, ha nuovamente affermato che, ai sensi dell’art. 1920 c.c., costoro acquistano un diritto proprio all’indennizzo, il quale non entra, perciò, nel patrimonio ereditario oggetto delle (eventuali) disposizioni testamentarie, né della devoluzione agli eredi secondo le regole della successione legittima. Trovando il diritto dei beneficiari fonte nel negozio inter vivos che reca la designazione, l’individuazione degli stessi, da compiere necessariamente al momento della morte dell’assicurato, non ne imporrebbe la coincidenza con coloro che siano effettivamente chiamati all’eredità: così, ove la polizza faccia riferimento agli eredi legittimi, gli stessi sarebbero da identificare con coloro che in astratto, avendo riguardo alla qualità esistente al momento della morte dell’assicurato, siano i successibili per legge, e ciò indipendentemente dalla effettiva vocazione.

Anche l’ordinanza n. 25635 del 2018 è tornata a sostenere che la designazione dei terzi beneficiari dell’assicurazione mediante il riferimento alla categoria degli eredi legittimi significa che gli stessi sono da identificarsi per relationem con coloro che “in linea teorica e con riferimento alla qualità esistente al momento della morte dello stipulante siano i successibili per legge, indipendentemente dalla loro effettiva chiamata all’eredità”. Fermo, così, il diritto iure proprio del beneficiario, all’assicurato residua il potere, previsto dall’art. 1921 c.c., di revocarne la designazione nelle stesse forme in cui può essere fatta a norma dell’art. 1920 c.c. II combinato degli artt. 1920, 1921 e 1923 c.c. lascia deporre, del resto, per la più ampia esplicazione della libertà contrattuale dello stipulante in ordine alle modalità della designazione del beneficiario ed all’attribuzione delle somme dovute dall’assicuratore, sia quanto alle forme di individuazione del terzo, sia quanto alla revocabilità della clausola di beneficio, sia quanto alla sottrazione del capitale assicurato alle regole della successione mortis causa. Nella polizza di assicurazione sulla vita a favore di terzo la legge non riscontra un trasferimento immediato dal contraente al beneficiario, in quanto la prestazione promana dal patrimonio dell’assicuratore e non dall’asse ereditario dell’assicurato. Essendo la designazione del beneficiario dei vantaggi di un’assicurazione sulla vita, quale che sia la forma prescelta fra quelle previste dal secondo comma dell’art. 1920 c.c., atto inter vivos con effetti post mortem, da cui discende l’effetto dell’immediato acquisto di un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione, la generica individuazione quali beneficiari degli «eredi [legittimi e/o testamentari]» ne comporta l’identificazione soggettiva con coloro che, al momento della morte dello stipulante, rivestano tale qualità in forza del titolo della astratta delazione ereditaria prescelto dal medesimo contraente, indipendentemente dalla rinunzia o dall’accettazione della vocazione. Il termine «eredi» viene attribuito dalla designazione allo scopo precipuo di fornire all’assicuratore un criterio univoco di individuazione del creditore della prestazione, e perciò prescinde dall’effettiva vocazione. L’eventuale istituzione di erede per testamento compiuta dal contraente assicurato dopo aver designate i propri «eredi [legittimi]» quali beneficiari della polizza non rileva, pertanto, né come nuova designazione per attribuzione della somma assicurata, né come revoca del beneficio, agli effetti dell’art. 1921 c.c., ove non risulti una inequivoca volontà in tal senso, operando su piani diversi l’intenzione di disporre mortis causa delle proprie sostanze e l’assegnazione a terzi del diritto contrattuale alla prestazione assicurativa.

La natura inter vivos del credito attribuito per contratto agli «eredi» designati quali beneficiari dei vantaggi dell’assicurazione esclude l’operatività riguardo ad esso delle regole sulla comunione ereditaria, valevoli per i crediti del de cuius, come anche l’automatica ripartizione dell’indennizzo tra i coeredi in ragione delle rispettive quote di spettanza dei beni caduti in successione. La qualifica di «eredi» rivestita al momento della morte dello stipulante sopperisce, invero, con valenza meramente soggettiva, alla generica determinazione del beneficiario, in base al disposto del secondo comma dell’art. 1920 c.c., che funziona soltanto al fine di indicare all’assicuratore chi siano i creditori della prestazione, ma non implica presuntivamente, in caso di pluralità di designati, l’applicazione tra i concreditori delle regole di ripartizione dei crediti ereditari. Al contrario, il silenzio serbato dal contraente sulla suddivisione del capitale assicurato tra gli eredi potrebbe spiegarsi come indizio della sua volontà di utilizzare l’assicurazione sulla vita per il caso morte con finalità indennitaria, o come alternativa al testamento comunque sottratta al divieto ex art. 458 c.c., in maniera da beneficiare tutti indistintamente senza soggiacere alle proporzioni della successione ereditaria. Rimane ovviamente ferma la libertà del contraente, nel designare gli eredi quali beneficiari dei vantaggi dell’assicurazione, di indicare gli stessi nominativamente o di stabilire in quali misure o proporzioni debba suddividersi tra loro l’indennizzo, o comunque di derogare all’art. 1920 c.c. (arg. dall’art. 1932 c.c.). L’indagine sull’effettiva intenzione del contraente, ovvero sullo scopo che lo stesso voleva perseguire mediante la generica designazione degli eredi beneficiari, rimane tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito. Non può, altrimenti, ritenersi che, in difetto di apposita disposizione di legge, al contratto di assicurazione sulla vita, in cui siano determinati genericamente i soggetti beneficiari quali «eredi», sia applicabile una “regola di completamento” (semmai implicitamente approvata dalle parti, in difetto di espressa volontà contraria), che, in via integrativa, piuttosto che interpretativa, comporti altresì, sul piano quantitativo della misura socialmente ragionevole dell’attribuzione, un “rinvio alle quote di ripartizione dell’eredità secondo le regole della successione legittima o secondo le regole della successione testamentaria” (come si afferma nella sentenza n. 19210 del 2015). In forza della designazione degli «eredi» quali beneficiari dell’assicurazione sulla vita a favore di terzo, la prestazione assicurativa vede quali destinatari una pluralità di soggetti in forza di una eadem causa obligandi, costituita dal contratto. Rispetto alla prestazione divisibile costituita dall’indennizzo assicurativo, come in ogni figura di obbligazione soggettivamente complessa (secondo quanto si argomenta in via di generalizzazione dall’art. 1298, secondo comma, c.c. e dall’art. 1101, primo comma c.c.), ove non risulti diversamente dal contratto, a ciascuno dei beneficiari spetta una quota uguale (in conformità a quanto sostenne la sentenza n. 9388 del 1994), il cui pagamento ciascuno potrà esigere dall’assicuratore nella rispettiva misura. Non sovviene decisivamente in proposito l’art. 1314 c.c., giacché il precetto secondo cui il creditore di una prestazione divisibile (rectius parziaria) non può domandare il soddisfacimento del credito “che per la sua parte”, volgendo la propria attenzione all’attuazione del rapporto e non all’interpretazione del titolo, dà per già risolto (e perciò non risolve esso stesso) il problema della determinazione della quota di ciascuno dei creditori.

L’attribuzione del diritto iure proprio al beneficiario per effetto della designazione giustifica altresì l’applicabilità all’assicurazione sulla vita per il caso morte del secondo comma dell’art. 1412 c.c., secondo il quale “la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante, purché il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente”, con conseguente trasmissibilità agli eredi del terzo premorto della titolarità dei vantaggi dell’assicurazione. In tal caso, l’acquisto del diritto alla prestazione assicurativa in favore degli eredi del beneficiario premorto rispetto allo stipulante opera, peraltro, iure hereditatis, e non iure proprio, e quindi in proporzione delle rispettive quote ereditarie, trattandosi di successione nel diritto contrattuale all’indennizzo entrato a far parte del patrimonio del designato prima della sua morte, nella medesima misura che sarebbe spettata al beneficiario premorto, secondo la logica degli acquisti a titolo derivative.

Dunque, con la regola che implica l’identificazione degli «eredi» designati con coloro che abbiano tale qualità al momento della morte del contraente coopera la regola della trasmissibilità del diritto ai vantaggi dell’assicurazione in favore degli eredi del beneficiario premorto, quale conseguenza dell’acquisto già avvenuto in capo a quest’ultimo. La premorienza di uno degli eredi del contraente, già designati tra i beneficiari dei vantaggi dell’assicurazione, comporta, quindi, non un effetto di accrescimento in favore dei restanti beneficiari, ma, stando l’assenza di una precisa disposizione sul punto ed in forza dell’assimilabilità dell’assicurazione a favore di terzo per il caso di morte alla categoria del contratto a favore di terzi, un subentro per “rappresentazione” in forza dell’art. 1412, secondo comma, c.c. (senza che la comune denominazione delle fattispecie obliteri le evidenti differenze di ambito soggettivo ed oggettivo correnti tra detta norma e l’istituto previsto dall’art. 467 c.c.). Beninteso, il contraente potrebbe avere altrimenti espresso in sede di designazione una diversa volontà per il caso di premorienza di uno dei beneficiari, come potrebbe, a seguito della stessa, revocare il beneficio con le forme e nei limiti di cui all’art. 1921 c.c.

Le Sezioni Unite civili, a risoluzione del contrasto prospettato, hanno affermato i seguenti principi in tema di assicurazione sulla vita a favore di un terzo:

- La designazione generica degli “eredi” come beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita, in una delle forme previste dall’art. 1920 c.c., comporta l’acquisto di un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione da parte di coloro che, al momento della morte dello stipulante, rivestano tale qualità in forza del titolo della astratta delazione indicata all’assicuratore per individuare i creditori della prestazione.

- La designazione generica degli “eredi” come beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita, in difetto di una inequivoca volontà del contraente in senso diverso, non comporta la ripartizione dell’indennizzo tra gli aventi diritto secondo le proporzioni della successione ereditaria, spettando a ciascuno dei creditori, in forza della eadem causa obligandi, una quota uguale dell’indennizzo assicurativo, il cui pagamento ciascuno potrà esigere dall’assicuratore nella rispettiva misura.

- Allorché uno dei beneficiari di un contratto di assicurazione sulla vita premuore al contraente, la prestazione, se il beneficio non sia stato revocato o il contraente non abbia disposto diversamente, deve essere eseguita a favore degli eredi del premorto in proporzione della quota che sarebbe spettata a quest’ultimo.


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