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Indebita compensazione: fra le “somme dovute” rientrano i contributi previdenziali e assistenziali

di seguito uno stralcio della pronuncia

(a cura di Giuliana Costanzo)

(Cass. pen., sez. I, sentenza del 18 settembre 2020, n. 389)

“(…) 1.1. Deve premettersi che il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater, introdotto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 7, convertito dalla L. n. 248 del 2006, è stato in parte riscritto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 9, ed è attualmente strutturato in questi termini: “É punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi del del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a Euro cinquantamila” (comma 1); “è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi del richiamato art. 17, crediti inesistenti per un importo annuo superiore a Euro cinquantamila” (comma 2). In considerazione dell’ampliamento delle ipotesi di compensazione in ambito tributario previste dal D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17, (…) l’orientamento prevalente di questa Corte, richiamato come tale anche nella sentenza n. 35 del 2018 della Corte costituzionale, ha ritenuto che il reato di indebita compensazione possa configurarsi sia in caso di compensazione “verticale”, riguardante crediti e debiti afferenti alla medesima imposta, sia in caso di compensazione “orizzontale”, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, in quanto può avere ad oggetto tutte le somme dovute che possono essere inserite nell’apposito modello F24, incluse quelle relative ai contributi previdenziali e assistenziali. Tale giurisprudenza ravvisa la ratio della disposizione in esame nella necessità di punire tutti quei comportamenti che si concretizzano in realtà nell’omesso versamento del dovuto e nel conseguimento di un indebito risparmio di imposta mediante l’indebito ricorso al meccanismo della compensazione tributaria, ossia attraverso la materiale redazione di un documento ideologicamente falso, idoneo a prospettare una compensazione che non avrebbe potuto avere luogo, o per la non spettanza o per l’inesistenza del credito. Ed è evidente che, in questa prospettiva, l’indebito risparmio di imposta che la norma incriminatrice tende a colpire non può essere limitato al mancato versamento delle imposte dirette o dell’Iva, ma coinvolge necessariamente anche le somme dovute a titolo previdenziale e assistenziale, il cui mancato pagamento, attraverso lo strumento della compensazione effettuata utilizzando crediti inesistenti o non spettanti, determina per il contribuente infedele un analogo risparmio di imposta (…). Risponde, dunque, del reato del D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 10-quater, non solo, come è pacifico, chi omette di versare imposte dirette o l’IVA utilizzando indebitamente in compensazione crediti concernenti altre imposte o crediti di natura previdenziale, ma anche chi si avvalga di analogo artificio per evitare di corrispondere tali ultime imposte ovvero contributi dovuti ad enti di previdenza. La norma in esame, in altri termini, si presta a reprimere l’omesso versamento di somme di denaro attinente a tutti i debiti, sia tributari, sia di altra natura, per il cui pagamento deve essere utilizzato il modello di versamento unitario (…).

1.1.1. E ciò, sia per ragioni legate al tenore letterale della disposizione, che si riferisce genericamente all’omesso versamento di “somme dovute”, senza prevedere alcuna limitazione alle compensazioni verticali o orizzontali che estinguano unicamente debiti relativi alle imposte dirette o Iva, sia per ragioni di carattere sistematico, dal momento non può essere condiviso il rilievo, pur formulato da parte della giurisprudenza (…), secondo il quale la disposizione in esame risulterebbe inserita in un testo normativo, quale è il D.Lgs. n. 74 del 2000, diretto a sanzionare unicamente le violazioni in materia di Iva e di imposte sui redditi. Può osservarsi, in contrario, che sono presenti all’interno del suddetto decreto almeno due norme poste anche ad eventuale presidio di tributi diversi dall’Iva e dall’imposta sui redditi: l’art. 10-bis, rubricato “omesso versamento di ritenute dovute o certificate”, e l’art. 11, rubricato “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte” (…).

1.1.2. L’orientamento giurisprudenziale qui non condiviso fa perno anche sulla speciale causa di non punibilità del pagamento del debito tributario (D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 13, comma 1), che sarebbe disciplinata in termini incompatibili con obblighi di natura diversa, perchè, parificando le tre fattispecie di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater del medesimo decreto, confermerebbe che quella contemplata dall’art. 10-quater, come le altre due, punisce sempre e solo l'omesso versamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

A tale conclusione deve però obiettarsi che il richiamato art. 13, comma 1, si limita semplicemente a prevedere che non sono più perseguibili penalmente le omissioni oggetto delle richiamate fattispecie incriminatorie, quando il contribuente versi integralmente le somme dovute all’Erario, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi maturati, prima della dichiarazione dell’apertura del dibattimento di primo grado. Chiaro è l’intento premiale di tale istituto che si muove nell’ottica, condivisibile, di una politica criminale e fiscale volta maggiormente alla tutela del bene giuridico protetto (il corretto gettito fiscale) piuttosto che alla “punizione esemplare” dei trasgressori. La parificazione tra le fattispecie degli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, risiede, dunque, nel fatto che, per gli omessi versamenti e per l’indebita compensazione, il contribuente ha correttamente indicato il proprio debito tributario, a differenza di quanto invece avviene per i reati dichiarativi, per i quali, il comma 2 del richiamato art. 13 richiede, ai fini della non punibilità, la spontaneità della resipiscenza del contribuente (…).

1.2. Da tali considerazioni consegue la fondatezza della prospettazione del pubblico ministero ricorrente. (…).

2. Per tali motivi, l’ordinanza deve essere annullata senza rinvio, con ripristino dell’efficacia del decreto di sequestro. (…).”


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