(Cons. St., sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4923)
di seguito uno stralcio della pronuncia
(a cura di Davide Gambetta)
"[…] In base all’art. 45 del Codice dei beni culturali “Il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”. La norma demanda all’amministrazione di delimitare con intensità variabile, non predeterminata, le misure più idonee a preservare il valore ed il significato che il bene colturale rappresenta nel territorio nel quale è collocato.
La giurisprudenza ha precisato che il vincolo indiretto concerne la c.d. cornice ambientale di un bene culturale (cfr. Cons. Stato, IV, 9 dicembre 1969, n. 722; VI, 18 aprile 2011, n. 2354). Ne deriva che non è il solo bene in sé […] a costituire oggetto della tutela, ma l’intero ambiente potenzialmente interagente con il valore culturale, che può richiedere una conservazione particolare. In questo senso il canone di verifica del corretto esercizio del potere deve avvenire secondo un criterio di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità.
La giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 3 luglio 2012 n. 3893) ha già avuto modo di precisare che tali criteri sono tra loro strettamente connessi e si specificano nel conseguimento di un punto di equilibrio identificabile nella corretta funzionalità dell’esercizio del potere che deve essere congruo e rapportato allo scopo legale per cui è previsto.
[…] Deve anche ricordarsi che la valutazione dell’amministrazione nell’ambito in discorso è per lo più insindacabile, se non sotto il profilo della congruità e della logicità della motivazione ed in particolare per difetto o manifesta illogicità della motivazione o errore di fatto (cfr. Cons. St., sez. IV, 22 giugno 2005, n. 3305; Cons. St., sez. VI, 22 agosto 2006, n. 4923; Cons. St., sez. IV, 9 febbraio 2006, n. 659).
Le doglianze […] devono essere valutate in concreto, avendo presente la peculiarità del Castello del Catajo, ovvero il fatto, ben evidenziato negli atti che ne hanno disposto la tutela, che il Castello è legato da un rapporto inscindibile con il territorio circostante; più precisamente, deve sottolinearsi che una parte del valore artistico ed architettonico del bene monumentale ed il suo significato storico sono stati, da ben prima nell’apposizione del vincolo indiretto impugnato, ricondotti anche alla relazione attiva che il Castello esprime nei confronti del territorio circostante; ciò vale a giustificare la particolare invasività della misura indiretta di tutela imposta.
[…] Come già evidenziato, l’estensione del vincolo non trova giustificazione nell’esigenza di preservare i valori del contesto territoriale in sé considerato (pur in sé dotato di valore), bensì i valori che lo stesso esprime in funzione del bene culturale del Castello del Catajo e delle sue pertinenze, a cui è inscindibilmente correlato, come ben evidenziato dai passaggi delle relazioni tecniche innanzi richiamati.
Non deve inoltre trascurarsi che l’estensione del vincolo, nel caso in esame, trova una logica spiegazione nell’imponenza e nell’ubicazione del complesso monumentale da tutelare, in quanto nel perimetro del vincolo diretto sono incluse anche la collina che fiancheggia il Castello e alcune aree agricole; pertanto, sussiste una logica congruenza tra l’ampia estensione del vincolo indiretto e l’ampia estensione del vincolo diretto da tutelare (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 luglio 2012, n. 3893).
3.3 – Le caratteristiche del bene sottoposto al vincolo diretto e la peculiarità del contesto sul quale si innesta il vincolo impugnato (già innanzi descritta) portano al superamento anche della prospettazione di parte appellante, secondo cui la tutela prevista dall’art. 45 del D.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 ammetterebbe una tutela della luce, della cornice e del decoro solo verso l’immobile oggetto di tutela diretta, ma non la salvaguardia degli scorci, degli equilibri prospettici e delle visuali godibili anche dall’immobile stesso.
Al riguardo, la giurisprudenza ha già avuto modo di osservare che i valori tutelati dalla norma citata hanno carattere ambivalente ed investono l’ambito territoriale interessato nel loro insieme in ragione della peculiarità dei beni da tutelare, con la conseguenza che il vincolo indiretto può essere apposto per consentire di comprendere l’importanza dei luoghi in cui gli immobili tutelati dal vincolo diretto si inseriscono mediante la loro conservazione pressoché integrale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 maggio 2017, n. 2493).
3.4 – In definitiva, il contenuto del vincolo impugnato risulta in sintonia con le caratteristiche del bene monumentale al quale è funzionale. In altre parole, il potere concretamente esercitato dall’amministrazione, che come detto è espressione di discrezionalità tecnica, non appare irragionevole o illogico, trovando invece la propria giustificazione nell’esigenza conservativa determinata dal vincolo diretto, tenuto conto delle peculiarità dello specifico bene che viene in considerazione.
[…] Per altro, la giurisprudenza ha già avuto modo di precisare che l’avvenuta edificazione di un’area non costituisce ragione sufficiente per recedere dall’intento di proteggere i valori estetici o paesaggistici ad essa legati, in quanto l’imposizione del vincolo comporta l’imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie proprio in funzione della conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell’integrità dello stesso (cfr. Consiglio di Stato n. 3401 del 2012; n. 4196 del 2011).
[…] Si è già osservato innanzi che il cd. vincolo indiretto non ha contenuto prescrittivo tipico, per essere rimessa all’autonomo apprezzamento dell’amministrazione la determinazione delle disposizioni utili all’ottimale protezione del bene principale, fino all’inedificabilità assoluta, se e nei limiti in cui tanto è richiesto dall’obiettivo di prevenire un vulnus ai valori oggetto di salvaguardia (cfr. Cons. St. n. 3663/2021).
[…] il principio di proporzionalità impone all’amministrazione di valutare l’intensità della misura di tutela non solo in funzione del valore culturale protetto, ma comparando le diverse misure adottabili anche con gli altri valori che possono esserne pregiudicati, non potendo l’amministrazione limitarsi, in virtù di una concezione totalizzante dell’interesse pubblico primario, ad affermarne la rilevanza assoluta, paralizzando con ciò ogni altra attività e sacrificando ogni altro interesse. Quale precipitato di tale impostazione, può ammettersi che l’applicazione del canone di proporzionalità possa anche implicare un parziale sacrificio dell’interesse pubblico primario per la parte non strettamente necessaria rispetto alla garanzia della tutela (propriamente intesa), in modo da consentire anche una ragionevole estrinsecazione (se del caso ridotta) dell’attività privata e della libertà di impresa del proprietario del bene (cfr. Cons. St. n. 3932/2015). […]”.
Per ulteriori pronunce degli anni 2018, 2019, 2020, 2021 iscriviti al gruppo Le Sentenze del 2020-2021 più rilevanti per l'esame di Avvocato e Magistratura
Comments