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Addio IRAP (ma non per tutti): ulteriore scelta che sprona all’involuzione imprese e liberi professi


A chi saluta con favore l’elisione, tra i soggetti passivi dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP) delle (sole) persone fisiche esercenti attività commerciali ed esercenti arti e professioni ex art. 3 co. 1 lett. b) e c) del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 occorre motivare, anzitutto, lo scetticismo qui espresso a partire dal titolo.

Certo, l’art. 1 comma 8 della L. 30 dicembre 2021, n. 234 ha espressamente escluso dal tributo IRAP, a decorrere dal periodo d’imposta 2022, determinate categorie sulle quali da decenni, rectius, dall’introduzione del tributo, si discuteva circa la sussistenza in capo ad essi del presupposto impositivo rappresentato dall’ “autonoma organizzazioneex art. 2 co. 1 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, evanescente concetto mai definito dal legislatore. Ciò è in linea con il (sic !) “Graduale superamento dell’IRAP” con cui è rubricato l’art. 6 della delega per la riforma fiscale. Ecco pertanto che s’è tenuto fede a tale indicazione prevedendo pertanto tale gradualità che però pone non pochi interrogativi di ordine sistematico e generale.

In primis, ci si interroga quindi se possa essere la forma giuridica ex se considerata a poter essere indice dell’esistenza di una autonoma organizzazione: tale tesi, a nostro avviso deve essere scongiurata e l’inesistenza di limiti quantitativo-dimensionali legati a tale forma organizzativa ne è la dimostrazione. Ciò vale sia per le imprese individuali che per i singoli liberi professionisti; ben più convincenti erano le analisi case by case effettuati dall’Agenzia delle Entrate volte alla verifica della consistenza dei beni strumentali e delle collaborazioni professionali in essere. Oltre ciò, la novella apre anche a ben prevedibili scenari sul passato, perlomeno sulle liti non passate in giudicato e sugli esercizi d’imposta per i quali è ancora possibile richiedere il rimborso di quanto versato.

V’è però un dato comune, forse più grave, che vede tale manovra volta a preservare, anzi, incentivare, il nanismo delle nostre imprese e degli studi professionali: come per il regime forfetario, se vuoi pagare meno tasse devi essere/restare/diventare piccolo. Pare questo lo slogan del riformatore che incita – in un impeto, oggi rigurgito, di populismo spinto – alla disaggregazione ed al ridimensionamento delle imprese e degli studi professionali.

Così tuttavia, a parere di chi scrive non si incentiva la crescita dimensionale necessaria sia alle nostre imprese che ai nostri liberi professionisti che debbono, oggi più che mai, misurarsi con realtà europee se non internazionali ben più strutturate e dimensionate. Così fu con l’introduzione di Industry 4.0, volta ad adeguare l’obsoleto sistema produttivo nazionale ai competitors europei, così dovrebbe essere anche per le strutture aziendali e professionali, a partire dalla tassazione di quelle realtà che generano maggiori volumi e maggior occupazione - e non l’esatto contrario -. E non si dica che il bonus aggregazioni sia stata una misura vincente, perché i dati non lo dimostrano ed inoltre essa è limitata solo alle imprese (e non anche ai professionisti).

Terminata la pars destruens, la pars construens non può che aggrapparsi a quell’aggettivo - “Graduale” – che in sé contiene una promessa in parte quindi già mantenuta ed una condizione nascosta ma ben nota e legata allo stato delle finanze pubbliche nazionali e Regionali stante il carattere di tributo proprio derivato dell’IRAP.


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