di seguito uno stralcio della pronuncia
(a cura di Rossella Bartiromo)
“(…) il Collegio osserva che anche l’applicazione del diritto europeo – per altro nel caso in esame genericamente invocata ed irrilevante non essendo stati impugnati i provvedimenti regionali lesivi della sfera giuridica della ditta ed attuativi della soprastante disciplina regionale – deve sottostare alle regole del processo amministrativo.
Al riguardo si rileva che:
- la Corte giustizia UE, nella pronuncia del 17 marzo 2016, C- 161/15, Bensada, ha affermato che un motivo attinente alla violazione del diritto di essere sentito, come garantito dal diritto dell’Unione, sollevato per la prima volta dinanzi al giudice nazionale, in un procedimento per cassazione, deve essere dichiarato ricevibile se tale diritto, come garantito dall’ordinamento nazionale, soddisfa le condizioni previste da detto ordinamento per essere qualificato come motivo di ordine pubblico; sicché la Corte, nel riconoscere l’operatività del principio di autonomia processuale degli Stati membri, prendendo come parametro nella fattispecie quello di equivalenza, ha ritenuto che, qualora esso non sia violato, la violazione del diritto di essere sentiti, se non ritualmente e tempestivamente dedotta nel processo, resta ferma e non scatta l’obbligo di funzionalizzare la regola processuale nazionale per rendere effettivo il diritto comunitario;
- inoltre, la Corte giustizia UE, nella pronuncia 14 dicembre 1995, in cause riunite C-430/93 e C-431/93, van Schijndel, con riferimento al principio dispositivo, ha chiarito che “il diritto comunitario non impone ai giudici nazionali di sollevare d'ufficio un motivo basato sulla violazione di disposizioni comunitarie, qualora l'esame di tale motivo li obblighi a rinunciare al principio dispositivo, alla cui osservanza sono tenuti, esorbitando dai limiti della lite quale è stata circoscritta dalle parti e basandosi su fatti e circostanze diversi da quelli che la parte processuale che ha interesse all'applicazione di dette disposizioni ha posto a fondamento della propria domanda” (così punto 22);
- così come, più in generale, la Corte di giustizia UE, sezione I, nella sentenza 4 marzo 2020, C–34/19, Telecom Italia s.p.a., ha affermato che: “Il diritto dell’Unione dev’essere interpretato nel senso che esso non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme di procedura interne che riconoscono autorità di cosa giudicata a una pronuncia di un organo giurisdizionale, anche qualora ciò consenta di porre rimedio a una violazione di una disposizione del diritto dell’Unione, senza con ciò escludere la possibilità per gli interessati di far valere la responsabilità dello Stato al fine di ottenere in tal modo una tutela giuridica dei loro diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione”;
- la giurisprudenza nazionale ha ripetutamente affermato che l'applicazione del diritto comunitario debba comunque rispettare le norme processuali dello Stato membro poste a tutela del principio di certezza del diritto (cfr. Cons. Stato, sez. III, 4 febbraio 2015, n. 540; sez. V, 22 gennaio 2015, n. 272; sez. V, 23 ottobre 2013, n. 5131; sez. V, 7 novembre 2012, n. 5649; specificamente sul giudizio di revocazione: Cons. Stato, sez. IV, 18 aprile 2018, n. 2332; sez. V, 17 luglio 2014, n. 3806); né paiono applicabili al caso di specie i principi elaborati dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la pronuncia n. 9 del 2018 - peraltro in un caso in cui, diversamente dal presente, era stato impugnato il provvedimento amministrativo oggetto del giudizio, in merito alla questione relativa alla ammissibilità della disapplicazione ex officio in appello di norma regolamentare contrastante con il diritto eurounitario, a vantaggio dell’appellante, in assenza di specifico motivo di impugnazione – secondo cui non risulterebbe predicabile alcuna preclusione per il Giudice amministrativo, anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale oltre che della Corte di giustizia UE in forza del principio di primautè del diritto comunitario;
b) evidenzia che la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea non risulta essere stata formalmente proposta e, ad ogni modo, si palesa non meritevole di accoglimento perché la questione interpretativa è stata sollevata in modo del tutto generico, non riveste interesse transfrontaliero ed è irrilevante stante la mancata impugnazione degli atti regionali effettivamente lesivi della sfera giuridica dei ricorrenti (cfr., Cons. Stato, sez. IV, n. 6219 del 2019; Corte di giustizia dell’Unione Europea, sez. IX, sentenza 14 febbraio 2019, C-710/17 – Consorzio Cooperative Costruzioni soc. coop.)”.
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