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Remo Trezza

DOCUMENTI ANAGRAFE TRIBUTARIA ACCESSIBILI EX ARTT. 22 SS. L. 241/1990 (Ad. pl. n. 21/2020)

di seguito uno stralcio della pronuncia

(a cura di Virginia Galasso)

“La Quarta Sezione del Consiglio di Stato, investita della causa d’appello, (…), rimetteva gli atti all’Adunanza plenaria ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. amm., ponendo le seguenti questioni: «a) se i documenti reddituali (le dichiarazioni dei redditi e le certificazioni reddituali), patrimoniali (i contratti di locazione immobiliare a terzi) e finanziari (gli atti, i dati e le informazioni contenuti nell’Archivio dell’Anagrafe tributaria e le comunicazioni provenienti dagli operatori finanziari) siano qualificabili quali documenti e atti accessibili ai sensi degli artt. 22 e ss. della legge n. 241 del 1990; b) in caso positivo, quali siano i rapporti tra la disciplina generale riguardante l’accesso agli atti amministrativi ex lege n. 241/1990 e le norme processuali civilistiche previste per l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo (secondo le previsioni generali, ai sensi degli artt. 210 e 213 del cod. proc. civ.; per la ricerca telematica nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto di cui artt. 492-bis del cod. proc. civ. e 155-sexies delle disp. att. del cod. proc. civ.); (…).

7.1 Sulla prima questione, relativa alla qualificazione dei documenti dell’anagrafe tributaria quali documenti amministrativi ai fini dell’accesso difensivo, la Sezione rimettente non ha registrato alcuno specifico contrasto giurisprudenziale, mentre in ordine alla tematica del rapporto tra l’istituto dell’accesso difensivo di cui all’art. 24, comma 7, l. n. 241/1990 e le norme processuali disciplinanti l’acquisizione dei documenti amministrativi al processo civile (sia secondo le previsioni generali, ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., sia secondo le previsioni speciali nei procedimenti in materia di famiglia, ai sensi del combinato disposto degli artt. 492-bis cod. proc. civ. e 155-sexies disp. att. cod. proc. civ.), su cui s’incentra la questione principale deferita all’Adunanza plenaria, ha segnalato un aperto contrasto di giurisprudenza insorto all’interno della Quarta Sezione, nei seguenti termini. 7.1.1 Secondo una prima tesi, sostenuta nelle sentenze n. 2472/2014, n. 5347/2019 e n. 5910/2019 e a favore della quale mostra di propendere il Collegio rimettente, il diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi degli artt. 22 ss. l. n. 241/1990 è esercitabile indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle citate norme processualcivilistiche.

7.1.2 Secondo la tesi opposta, propugnata dalla sentenza n. 3461/2017 della Quarta Sezione, la previsione da parte dell’ordinamento di determinati metodi di acquisizione, in funzione probatoria, di documenti detenuti dalla pubblica amministrazione, esclude invece l’azionabilità del rimedio dell’accesso ai documenti medesimi secondo la disciplina di cui alla legge n. 241/1990. Tale tesi parte dalla considerazione (richiamando Ad. plen. 18 aprile 2006, n. 6) che il diritto di accesso è una situazione soggettiva che, più che fornire utilità finali, risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi), e ne trae i seguenti corollari (…) - il «diritto» di accesso si presenta privo di una sua sostanziale autonomia, essendo esso sempre ricollegato, appunto, a status e posizioni soggettive, alla cui affermazione e/o tutela strumentalmente si accompagna, di modo che proprio perché è esso stesso posizione strumentale non può essere configurato come diritto fondamentale e autonomo rispetto a qualsiasi altro tipo di azione; - il problema da sciogliere è quindi se, allorché l’ordinamento giuridico preveda particolari procedimenti e modalità di acquisizione di documenti detenuti dalla pubblica amministrazione, il diritto di accesso sia esercitabile (o meno) indipendentemente dalle forme di acquisizione probatoria previste dalle norme processuali, ovvero anche in modo concorrente e complementare con queste ultime. Dati i presupposti in ragione dei quali l’acquisizione di documenti amministrativi al processo civile è disciplinata dal codice di rito, e considerato che il giudizio nel cui ambito una delle parti intende utilizzare documenti detenuti da pubbliche amministrazioni è un giudizio tra soggetti privati, al quale la pubblica amministrazione è totalmente estranea, l’orientamento all’esame perviene all’affermazione dei seguenti principi: - la disciplina codicistica garantisce la necessaria tutela giurisdizionale anche in punto di acquisizione di documenti detenuti dalla pubblica amministrazione; (…) - le predette considerazioni, riferite a un giudizio tra privati (e, dunque, con riferimento a norme processualcivilistiche), non sono immediatamente applicabili al processo amministrativo, né, per converso, la possibilità di instaurare un giudizio avverso la pubblica amministrazione e, in parallelo, esercitare il diritto di accesso ai documenti amministrativi costituisce elemento per contraddire tali conclusioni.

8. Ancorché una parte dell’oggetto della prima questione, di cui sopra sub 4.a), concernente la qualificabilità, o meno, dei documenti patrimoniali e fiscali dell’anagrafe tributaria e dei documenti della sezione archivio rapporti finanziari come documenti amministrativi, esuli dai limiti oggettivi del presente giudizio e del devolutum, in quanto l’Agenzia aveva osteso i documenti patrimoniali e fiscali e limitato il diniego ai documenti dell’archivio dei rapporti finanziari, questa Adunanza plenaria ritiene di pronunciarsi comunque sulla questione intera ai sensi dell’art. 99, comma 5, cod. proc. amm., anche in considerazione dell’eventuale rilevanza indiretta ai fini della decisione del giudizio a quo, risultando dedotta dalla parte ricorrente in primo grado, quanto meno implicitamente, la disparità di trattamento nella gestione dei diversi dati in possesso dell’amministrazione finanziaria, non comprendendosi le ragioni per le quali soltanto taluni di essi sono stati ostesi.

8.1 La questione, sulla quale non si registrano contrasti giurisprudenziali, deve essere risolta in senso affermativo, atteso il concetto ampio di «documento amministrativo» delineato negli artt. 22, comma 1, lettera d), l. n. 241/1990 e 1, comma 1, lettera a), d.P.R. n. 445/2000.

8.2 Sul piano del diritto positivo, si osserva quanto segue. L’art. 22, comma 1, lettera d), l. n. 241/1990 (che introduce il capo V della legge, rubricato «Accesso ai documenti amministrativi»), come sostituito dall’art. 15, comma 1, l. 11 febbraio 2005, n. 15, testualmente recita: «Ai fini del presente capo si intende: […] d) per “documento amministrativo”, ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale» L’art. 1, lettera a), d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa), come sostituito dall’articolo 1 d.P.R. 7 aprile 2003, n. 137 – nel quadro della disciplina generale della formazione, rilascio, tenuta e conservazione, gestione trasmissione di atti e documenti da parte di organi della pubblica amministrazione (art. 2) – statuisce: «1. Ai fini del presente testo unico si intende per: a) DOCUMENTO AMMINISTRATIVO ogni rappresentazione, comunque formata, del contenuto di atti, anche interni, delle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa. […]». L’art. 2, comma 2, d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184 (Regolamento recante la disciplina di accesso ai documenti amministrativi), stabilisce che l’accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione.

8.3 Dal descritto quadro normativo si può trarre una considerazione decisiva ai fini della soluzione al primo quesito interpretativo posto dalla Sezione rimettente, e cioè che, sotto il profilo oggettivo, la nozione normativa di «documento amministrativo» suscettibile di formare oggetto di istanza di accesso documentale è ampia e può riguardare ogni documento detenuto dalla pubblica amministrazione o da un soggetto, anche privato, alla stessa equiparato ai fini della specifica normativa dell’accesso agli atti, e formato non solo da una pubblica amministrazione, ma anche da soggetti privati, purché lo stesso concerna un’attività di pubblico interesse o sia utilizzato o sia detenuto o risulti significativamente collegato con lo svolgimento dell’attività amministrativa, nel perseguimento di finalità di interesse generale.

8.4 Nella presente causa vengono in rilievo, in particolare, i documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, acquisiti e conservati nell’anagrafe tributaria gestita dall’Agenzia delle entrate. Segnatamente, si tratta dei documenti delle banche dati dell’anagrafe tributaria, le quali – per quanto qui interessa – includono la banca dati reddituale (che contiene tutte le dichiarazioni presentate dai contribuenti comprese eventuali dichiarazioni sostitutive e/o integrative), la banca dati imposte registro (che contiene la registrazione di atti scritti di qualsiasi natura produttivi di effetti giuridici) e l’archivio dei rapporti finanziari.

8.5 Secondo l’art. 1, comma 1, d.P.R. n. 605/1973, l’anagrafe tributaria raccoglie e ordina su scala nazionale i dati e le notizie risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce presentate agli uffici dell’amministrazione finanziaria e dai relativi accertamenti, nonché i dati e le notizie che possono comunque assumere rilevanza ai fini tributari. Il comma 2 stabilisce che i dati e le notizie raccolti sono comunicati agli organi dipendenti dal Ministro per le finanze preposti agli accertamenti ed ai controlli relativi all’applicazione dei tributi, e, in particolare, ai fini della valutazione della complessiva capacità contributiva e degli adempimenti conseguenziali di rettifica delle dichiarazioni e di accertamento, all’ufficio distrettuale delle imposte nella cui circoscrizione il soggetto ha il domicilio fiscale.

8.6 Con riferimento all’archivio dei rapporti finanziari, alla luce di quanto disposto dall’art. 6, comma 7, d.P.R. n. 605/1973 e ss. mm. ii. deve ritenersi che le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti acquisiti dall’amministrazione finanziaria e i relativi dati inseriti e conservati nell’anagrafe tributaria – secondo la sopra richiamata disciplina in punto di forma, contenuti, modalità di trasmissione e di archiviazione – rientrano, senza particolari dubbi esegetici, nella sopra riportata ampia nozione di documenti amministrativi, rilevante ai fini dell’accesso documentale ai sensi degli artt. 22 ss. l. n. 241/1990, in quanto preordinati all’esercizio, a norma dell’art. 1, comma 2, d.P.R. n. 605/1973, delle ivi enunciate funzioni istituzionali dell’amministrazione finanziaria, ancorché non formati da quest’ultima.

8.7 Il conseguente corollario è che, a norma dell’art. 22, comma 3, l. n. 241/1990, secondo cui «[t]utti i documenti amministrativi sono accessibili […]», la qualificazione dei documenti in questione come «documenti amministrativi» comporta la loro piena accessibilità, proprio in ragione di tale loro qualità oggettiva, salve le eccezioni di cui all’art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6, nonché – con specifico riferimento all’accesso necessario per curare e difendere i propri interessi giuridici – nel rispetto dei limiti e delle condizioni previste al comma 7 del citato art. 24.

9. La seconda e centrale questione della controversia attiene ai rapporti tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo ex art. 24, comma 7, l. n. 241/1990 e lo strumento processuale delineato dall’art. 155-sexies disp. att. cod. proc. civ. (inserito dal d.-l. n. 132/2014 convertito dalla legge n. 162/2014, e modificato dall’art. 5, comma 1, d.-l. n. 59/2016 convertito dalla legge n. 119/2016), con il quale sono stati ampliati i poteri istruttori del giudice ordinario ai fini della ricostruzione della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria (la norma parla di «ricostruzione dell’attivo e del passivo») delle parti processuali nei procedimenti in materia di famiglia, attraverso il ricorso allo strumento di cui all’art. 492-bis cod. proc. civ. (inserito dal d.-l. n. 132/2014 convertito nella legge n. 162/2014), costituito dall’accesso, con modalità telematiche, «ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari» (v. così, testualmente, il comma 2 dell’art. 492-bis cod. proc. civ.). La questione si inquadra nella più generale problematica costituita dai rapporti tra l’accesso documentale ex artt. 22 ss. l. n. 241/1990 e gli strumenti di acquisizione dei documenti amministrativi nel processo civile, sia secondo la disciplina generale ex artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ., sia secondo la richiamata disciplina particolare introdotta nel settore dei procedimenti in materia di famiglia.

Al riguardo, occorre procedere, sul piano logico-giuridico: in primo luogo, all’inquadramento generale dell’istituto dell’accesso amministrativo; in secondo luogo, a verificare se sia possibile individuare, all’interno della fattispecie giuridica ‘generale’ dell’accesso amministrativo, due ipotesi ‘particolari’ di accesso agli atti, rispondenti a rationes legis diverse e basate su elementi, requisiti e condizioni di esercizio differenziato; in ultimo, a confrontare la fattispecie amministrativistica dell’accesso agli atti con quella processualcivilistica dell’acquisizione probatoria dei mezzi istruttori, al fine di stabilire, attraverso le assonanze e le dissonanze, quale sia il rapporto giuridico esistente tra le stesse, se cioè i due strumenti giuridici si escludano a vicenda, ovvero possano operare in modo concorrente o complementare o anche alternativo tra di loro.

9.1 Con riguardo al primo profilo, e cioè l’inquadramento generale dell’istituto dell’accesso amministrativo, l’art. 22, comma 2, l. n. 241/1990 contiene una definizione positiva della natura, dell’oggetto e della funzione dell’istituto: «L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza». Più in particolare, con riguardo alla natura giuridica è chiarito che l’accesso è il principio regolatore dell’attività amministrativa; quanto all’oggetto, che l’accesso soddisfa finalità di pubblico interesse; in relazione alla funzione, che l’accesso favorisce la partecipazione e assicura l’imparzialità e la trasparenza. La funzione in parola (e cioè l’essere, l’accesso, strumento di partecipazione, di imparzialità e di trasparenza) trova una più compiuta definizione contenutistica nel successivo comma 3, il quale stabilisce il principio della generale accessibilità agli atti, «ad eccezione di quelli indicati all’articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6». Nel suo ultimo comma, invece, l’art. 24 cit. enuclea un’autonoma funzione dell’accesso, diversa da quella per l’innanzi disciplinata, e la costruisce tecnicamente come una ‘eccezione’ rispetto all’elenco delle esclusioni dal diritto di accesso che danno la rubrica all’articolo in parola. Il comma 7 è netto nello stabilire che «[d]eve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.

(…) In conclusione, dunque, sono due le logiche all’interno delle quali opera l’istituto dell’accesso: la logica partecipativa e della trasparenza e quella difensiva. Ad entrambe è preposto l’esercizio del potere amministrativo, secondo regole procedimentali nettamente differenziate. La logica partecipativa è imperniata sul principio generale della massima trasparenza possibile, con il solo limite rappresentato dalle esclusioni elencate nei commi 1, 2, 3, 5 e 6 dell’art. 24 della medesima legge n. 241. La logica difensiva è costruita intorno al principio dell’accessibilità dei documenti amministrativi per esigenze di tutela e si traduce in un onere aggravato sul piano probatorio, nel senso che grava sulla parte interessata l’onere di dimostrare che il documento al quale intende accedere è necessario (o, addirittura, strettamente indispensabile se concerne dati sensibili o giudiziari) per la cura o la difesa dei propri interessi. (…).

9.2 Con riguardo a questo aspetto, che concerne – come sopra anticipato – il secondo profilo sul quale occorre soffermarsi, vanno fatte alcune considerazioni. In primo luogo, l’accesso difensivo è costruito come una fattispecie ostensiva autonoma, caratterizzata (dal lato attivo) da una vis espansiva capace di superare le ordinarie preclusioni che si frappongono alla conoscenza degli atti amministrativi; e connotata (sul piano degli oneri) da una stringente limitazione, ossia quella di dovere dimostrare la ‘necessità’ della conoscenza dell’atto o la sua ‘stretta indispensabilità’, nei casi in cui l’accesso riguarda dati sensibili o giudiziari. In secondo luogo, la conoscenza dell’atto non è destinata a consentire al privato di partecipare all’esercizio del pubblico potere in senso ‘civilmente’ più responsabile, ossia per contribuire a rendere l’esercizio del potere condiviso, trasparente e imparziale, ma rappresenta il tramite per la cura e la difesa dei propri interessi giuridici. La mancata specificazione dell’ambito entro il quale tali interessi vanno curati è, inoltre, indicativa del fatto che il legislatore ha voluto appositamente trascendere la dimensione partecipativa procedimentale e la stessa logica della trasparenza della funzione amministrativa, e costruire l’accesso agli atti, piuttosto, come una pretesa ostensiva, finalizzata anche – eventualmente – alla difesa in giudizio, ed a sua volta autonomamente tutelata con una specifica azione avverso il diniego o il silenzio della pubblica amministrazione (si tratta dell’azione prevista dall’art. 116 cod. proc. amm.). (…) Appare sufficiente rifarsi, sotto questo profilo, alla puntuale disciplina positiva sopra riportata: l’art. 24, comma 7, legge n. 241 garantisce «l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici»; l’art. 22, comma 1, lettera d), della medesima legge, con formula replicata anche dall’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 184/2006, definisce l’ambito soggettivo dei legittimati all’accesso documentale, individuandoli in «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi», nonché l’interesse legittimante all’accesso, indicandolo in «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso». Il rovesciamento dell’impostazione classica è immediatamente percepibile ed irreversibile. Da un lato, sul piano della logica ‘partecipativa’, il legislatore supera l’idea dell’interesse privato ‘occasionalmente protetto’ in dipendenza dell’esercizio del potere, tracciando la strada, viceversa, per una tutela ‘occasionalmente protetta’ della legittimità amministrativa, divenendo – la conoscenza e la partecipazione del privato – momento fondante la trasparenza e l’imparzialità dell’amministrazione (v. l’art. 22, comma 2, della legge n. 241 cit.). Dall’altro lato, sul piano della logica ‘difensiva’, il legislatore inserisce all’interno di una norma di natura sostanziale uno strumento di valenza tipicamente processuale, fornendo ‘azione’ alla ‘pretesa’, anche in senso derogatorio in concreto (v. Cons. Stato, ord. n. 600/2014, cit.) rispetto ai classici casi di esclusione procedimentale («Deve comunque essere garantito […]»). Ciò, naturalmente, come già illustrato, entro gli stringenti limiti in cui la parte interessata all’ostensione dimostri la necessità (o la stretta indispensabilità per i dati sensibili e giudiziari), la corrispondenza e il collegamento tra la situazione che si assume protetta ed il documento di cui si invoca la conoscenza. La necessità (o la stretta indispensabilità) della conoscenza del documento determina il nesso di strumentalità tra il diritto all’accesso e la situazione giuridica ‘finale’, nel senso che l’ostensione del documento amministrativo deve essere valutata, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, come il tramite – in questo senso strumentale – per acquisire gli elementi di prova in ordine ai fatti (principali e secondari) integranti la fattispecie costitutiva della situazione giuridica ‘finale’ controversa e delle correlative pretese astrattamente azionabili in giudizio. La delibazione è condotta sull’astratta pertinenza della documentazione rispetto all’oggetto della res controversa. La corrispondenza e il collegamento fondano, invece, l’interesse legittimante, che scaturisce dalla sussistenza, concreta e attuale, di una crisi di cooperazione, quanto meno da pretesa contestata (in ipotesi suscettibile di sfociare in un’azione di accertamento), che renda la situazione soggettiva ‘finale’, direttamente riferibile al richiedente, concretamente e obiettivamente incerta e controversa tra le parti, non essendo sufficiente un’incertezza meramente ipotetica e subiettiva. Ai fini del riconoscimento della situazione legittimante, non è positivamente richiesto il requisito dell’attuale pendenza di un processo in sede giurisdizionale. In altri termini, muovendo dall’assenza di una previsione normativa che ciò stabilisca, è possibile trarre il convincimento che la pendenza di una lite (dinanzi al giudice civile o ad altro giudice) può costituire, tra gli altri, un elemento utile per valutare la concretezza e l’attualità dell’interesse legittimante all’istanza di accesso, ma non ne rappresenta la precondizione tipica. Più in particolare, dalle previsioni normative sopra illustrate emerge una disciplina dell’accesso difensivo nel senso di: a) esigere la sussistenza del solo nesso di necessaria strumentalità tra l’accesso e la cura o la difesa in giudizio dei propri interessi giuridici (v. art. 24, comma 7, legge n. 241/1990 e s.m.i.); b) ricomprendere, tra i destinatari, tutti i soggetti privati, ivi compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, senza alcuna ulteriore esclusione (art. 22, comma 1, lettera d), con formula replicata dall’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 184/2006); c) circoscrivere le qualità dell’interesse legittimante a quelle ipotesi che – sole – garantiscono la piena corrispondenza tra la situazione (sostanziale) giuridicamente tutelata ed i fatti (principali e secondari) di cui la stessa fattispecie si compone, atteso il necessario raffronto che l’interprete deve operare, in termini di pratica sussunzione, tra la fattispecie concreta di cui la parte domanda la tutela in giudizio e l’astratto paradigma legale che ne costituisce la base legale. Siffatto giudizio di sussunzione, che costituisce la base fondante dell’accesso difensivo, è regolato in ogni suo aspetto dalla legge (e dal rispettivo regolamento di attuazione), mostrandosi privo di tratti ‘liberi’ lasciati alla interpretazione discrezionale dell’autorità amministrativa, ovvero alla prudente interpretazione del giudice. Più in particolare, la legge ha proceduto a selezionare, tra i canoni ermeneutici in astratto possibili, quelli della immediatezza, della concretezza e dell’attualità (art. 22, comma 1, lettera d), legge n. 241 cit.), in modo tale da ancorare il giudizio sull’interesse legittimante a due parametri fissi, rigidi e predeterminati quanto al loro contenuto obiettivo. La ‘corrispondenza’ circoscrive esattamente l’interesse all’accesso agli atti in senso «corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata». In tal modo – ritornando allo specifico settore dei procedimenti in materia di famiglia – l’accesso di un privato agli atti reddituali, patrimoniali e lato sensu finanziari di un altro soggetto privato sarà strettamente ancorato e non fuoriuscirà dalla necessità della difesa in giudizio di situazioni riconosciute dall’ordinamento come meritevoli di tutela. Il legislatore medesimo, infatti, si è preoccupato di disciplinare il fenomeno giuridico della ‘famiglia’ in senso omnicomprensivo, e cioè tale da ricomprendere il momento della sua formazione, quello del suo svolgimento e quello, eventuale, della crisi e del suo scioglimento. Si tratta, all’evidenza, di situazioni giuridiche soggettive predeterminate e costruite secondo il modello dell’astratto paradigma legale, sotto il quale vengono sussunte le singole fattispecie concrete. Al realizzarsi di una di queste fattispecie predeterminate, che giuridicamente corrispondono a necessità e bisogni sociali particolarmente avvertiti dalla comunità (quali, ad esempio, l’equità nella gestione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi o i conviventi e rispetto ai figli), l’unico interesse legittimante all’accesso difensivo sarà quello che corrisponderà in modo diretto, concreto ed attuale alla cura in giudizio di tali predeterminate fattispecie, in chiave strettamente difensiva. Tale ultimo aspetto, più in particolare, è chiarito dal secondo dei parametri al quale si è fatto cenno, e cioè quello riguardante il cd. ‘collegamento’. Il legislatore ha ulteriormente circoscritto l’oggetto della situazione legittimante l’accesso, esigendo che la stessa, oltre a corrispondere – come finora è stato detto – al contenuto dell’astratto paradigma legale, sia anche «collegata al documento al quale è chiesto l’accesso», in modo tale da evidenziare in maniera diretta ed inequivoca il nesso di strumentalità che avvince la situazione soggettiva finale al documento di cui viene richiesta l’ostensione, e per l’ottenimento del quale l’accesso difensivo, in quanto situazione strumentale, fa da tramite. Questa esigenza è soddisfatta, sul piano procedimentale, dal successivo art. 25, comma 2, l. n. 241/1990, ai sensi del quale «[l]a richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata». La volontà del legislatore è di esigere che le finalità dell’accesso siano dedotte e rappresentate dalla parte in modo puntuale e specifico nell’istanza di ostensione, e suffragate con idonea documentazione (ad es. scambi di corrispondenza; diffide stragiudiziali; in caso di causa già pendente, indicazione sintetica del relativo oggetto e dei fatti oggetto di prova; ecc.), onde permettere all’amministrazione detentrice del documento il vaglio del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta sub specie di astratta pertinenza con la situazione ‘finale’ controversa. In questa prospettiva, pertanto, va escluso che possa ritenersi sufficiente un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando”.


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