(A cura di Davide Fricchione)
NOTA A CASSAZIONE PENALE, SEZ. IV, SENTENZA N. 3731, ANNO 2020 (DATA UDIENZA 07/11/2019) Presidente FUMU, Relatore CENCI
Sommario: 1. La vicenda processuale – 2. I motivi di ricorso – 3. La soluzione offerta dalla Corte di Cassazione – 3.1. La Suprema Corte evidenzia la incompatibilità tra DVR e MOGC231, ai fini della determinazione della responsabilità dell’ente ex art. 6 D.lgs. 231/2001 – 3.2. (segue)…e sancisce l’autonomia ed indipendenza delle nozioni di “interesse” e “vantaggio” nei reati colposi di evento, avuto riguardo la violazione delle norme anti-infortunistiche – 4. Considerazioni conclusive
La vicenda processuale
Con Sentenza n. 3731 del 7 novembre 2019, la Corte di Cassazione, Sezione IV, ha evidenziato l’importanza di verificare la sussistenza dei requisiti cd. “oggettivi” nel sancire la responsabilità amministrativa dipendente da reato dell’ente per colpa di organizzazione ex art. 6 D.lgs. 231/20011, avuto riguardo la violazione delle norme precauzionali in materia di salute e sicurezza sul lavoro.Nella vicenda processuale in oggetto, originata dalla perdita di un arto da parte di un operaio somministrato da un’agenzia di lavoro alla Società C.T. S.r.l., durante il sollevamento di merce pesante mediante carrello elevatore all’interno di un cantiere, la Corte sostanzialmente ha confermato le condanne emanate, in primo grado di giudizio, dal Tribunale di Brindisi e, in secondo grado di giudizio, dalla Corte di Appello di Lecce, nei confronti dei ricorrenti A.C., datore di lavoro, e F.S., capocantiere nonché della Società C.T. S.r.l., ritenuti responsabili rispettivamente, gli uni, in cooperazione colposa, del delitto previsto e punito dall’art. 589 c.p. – violando gli obblighi in materia di salute e sicurezza sul lavoro – l’altra, ai sensi dell’art. 25-septies, comma 3, del D.lgs. 231/20012, rubricato “Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro”, previo riconoscimento ad A.C. della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 6, c.p., ritenuta equivalente a seguito di giudizio di bilanciamento.Avverso la sentenza emanata dalla Corte di Appello di Lecce, ricorrevano per cassazione – a mezzo di difensori distinti – A.C., F.S. e la Società, sui cui motivi di ricorso, in particolare, è focalizzato tale contributo, segnatamente il punto di vista adottato dalla Suprema Corte, in ordine da meglio specificare i criteri oggettivi di attribuzione della responsabilità amministrativa ex crimine degli enti di cui all’art. 6 del D.lgs. 231/2001.
I motivi di ricorso
Il ricorso nell’interesse della Società C.T. S.r.l. – di seguito, la “Società” – è articolato in quattro motivi, i primi tre dei quali attengono all’an della responsabilità, lamentando la difesa dell’ente la violazione delle disposizioni di cui al D.lgs. 81/2008 e al D.lgs. 231/2001 ed assumendosi non avere i giudici di appello considerato le doglianze avanzate con l’impugnazione di merito; l’ultimo motivo inerisce, invece, il quantum sanzionatorio.Con il primo motivo, la difesa della Società ha sottolineato la mancanza di interesse o vantaggio, al netto dell’adozione ed efficace attuazione del Modello Organizzativo ex D.lgs. 231/2001 nonché del Documento di Valutazione dei Rischi, che sarebbero stati disapplicati o violati in parte da taluno dei soggetti espressamente richiamati ai sensi dell’art. 5 D.lgs. 231/20013 a causa dell’imperfetta esecuzione delle misure preventive previste. In particolare, la difesa della Società ha affermato che “nel caso di specie, non è ravvisabile nella condotta del datore di lavoro quella tensione finalistica preordinata al conseguimento di un interesse qualificabile della società ovvero di un apprezzabile vantaggio in termini di risparmio di spesa nonché minimizzazione dei costi d’impresa”4.Con il secondo motivo, la difesa ha denunziato la mancanza della cd. colpa di organizzazione, non essendovi dimostrazione alcuna del mancato rispetto delle norme antinfortunistiche da parte della Società e, all’inverso, sussistendo grave negligenza da parte del lavoratore A.P., nell’eludere le previsioni antinfortunistiche.Con il terzo motivo, la ricorrente ha evidenziato l’interruzione del nesso di causalità tra la condotta posta in essere dal lavoratore e l’evento lesivo dell’arto, consistente nell’aver sconsideratamente il P. preso il posto di guida del carrello elevatore pur non avendo mai adoperato tale mezzo di lavoro, in quanto privo di adeguata formazione.Infine, con il quarto motivo, la Società ha censurato la violazione degli artt. 133 c.p. e 12 D.lgs. 231/2001, in quanto la Corte di Appello di Lecce avrebbe dovuto riconoscere la diminuente di cui al predetto disposto normativo e non considerare il limite di pagamento in misura ridotta della sanzione pecuniaria di cui all’art. 10 del Decreto 231.
La soluzione offerta dalla Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato la manifesta infondatezza degli ultimi due motivi di ricorso come, peraltro, sostenuto dalla Corte di Appello in secondo grado di giudizio. Avuto riguardo all’attenuante del risarcimento del danno, occorso in favore del lavoratore A.P., di cui all’art. 10, comma 2, lett. a) del D.lgs. 231/2001, essa è stata ritenuta applicabile anche alla Società. Tuttavia, tale misura non importa, dal punto di vista sanzionatorio, alcun effetto considerato il limite di sanzione pecuniaria di cui all’art. 10 comma 4 del Decreto 2315.Per ciò che attiene, invece, ai primi due motivi di gravame, inerenti la ritenuta rilevanza esimente del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo e del Documento di Valutazione dei Rischi, l’assenza di colpa di organizzazione, la mancanza di interesse o vantaggio per l’ente, la Corte ha ritenuto far fede alla sentenza impugnata, nella quale si fa menzione chiaramente dell’ordine reiteratamente impartito dal capocantiere F.S. al lavoratore A.P. di svolgere un’attività pericolosa per la quale non era stato formato né abilitato e si sottolinea il risparmio di spesa per la Società derivante dall’impiego di un solo lavoratore, anziché due, nell’espletamento delle attività lavorative.
La Suprema Corte evidenzia la incompatibilità tra DVR e MOGC231, ai fini della determinazione della responsabilità dell’ente ex art. 6 D.lgs. 231/2001
Quanto al tema della verifica ad opera dei giudici di merito sull’adozione e sull’idoneità del MOGC231, avuto riguardo la responsabilità amministrativa dipendente da reato degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica6, il giudice di merito, ove investito da specifica deduzione, deve procedere seguendo un ordine logico e cronologico di tal genere:accertare l’esistenza o meno di un modello organizzativo ex art. 6 D.lgs. 231/2001; ove il modello esista, verificare che lo stesso sia conforme alla legge;accertare che esso sia stato efficacemente attuato o meno in ottica prevenzionale (ante-factum sceleris). Orbene, nel caso di specie, la difesa della Società ha incentrato tutte le proprie argomentazioni sull’adozione del DVR, insistendo per l’integrale accoglimento delle doglianze relative al giudizio di conformità ex lege dello stesso e non sollevando alcuna obiezione circa l’efficace attuazione del MOGC231 al di fuori dell’utilità in luogo dell’obbligatorietà di adozione al fine di prevenire la contrazione del rischio-reato.Inoltre, a suffragio di tale tesi difensiva, la Società ha insistito con l’affermare che la colpa di organizzazione si configura non già a seguito della mancata adozione del “Modello 231” bensì in violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, la cui prova incombe sull’accusa, unitamente alla dimostrazione della sussistenza dei presupposti oggettivi nonché del nesso di causalità tra condotta ed evento.In definitiva, la Suprema Corte ha ben evidenziato che esiste una diversità di genere tra il Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo di cui all’art. 6 del D.lgs. 231/2001 e il Documento di Valutazione dei Rischi ex art. 17 del D.lgs. 81/2008, peraltro confuso, nel caso di specie, con il POS, dal momento che l’uno attiene al sistema di Corporate Governance e alle modalità attraverso cui prevenire il verificarsi di reati-presupposto di cui all’impianto normo-legislativo cristallizzato nel Decreto 231; l’altro concerne, invece, la specifica valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, connessi all’esercizio dell’attività d’impresa.
(segue)…e sancisce l’autonomia ed indipendenza delle nozioni di “interesse” e “vantaggio” nei reati colposi di evento, avuto riguardo la violazione delle norme anti-infortunistiche
Al netto delle considerazioni sin ora esposte, costituisce fulcro della vicenda processuale in esame nonché snodo essenziale del ragionamento condiviso dalla Corte di Cassazione la definizione delle nozioni di “interesse” e “vantaggio” per l’ente nel procedimento penale de societate ex art. 5 del D.lgs. 231/20017. Muovendo dalla più volte richiamata Sentenza “Espenhahn e altri”8, la Suprema Corte ribadisce che in tema di responsabilità amministrativa dipendente da reato degli enti le nozioni di “interesse” e “vantaggio” non costituiscono un’endiadi, bensì requisiti alternativi e concorrenti.Infatti il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologicamente orientata del reato, apprezzabile ex ante, a differenza del criterio del vantaggio che ha connotazione essenzialmente oggettiva, valutabile ex post, sulla base degli effetti prodotti dalla realizzazione dell’illecito penalmente rilevante9. Sul punto è altresì pacifico l’orientamento dottrinale maggiormente avveduto, secondo cui il requisito dell’”interesse” dell’ente ricorre quando la persona fisica, pur non volendo cagionare l’evento morte o lesione del lavoratore – avuto riguardo ai reati colposi di evento richiamati dall’art. 25-septies del D.lgs. 231/2001 – agisce allo scopo di rendere un’utilità economicamente apprezzabile alla persona giuridica. Si pensi all’ipotesi in cui il datore di lavoro, in qualità di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione ovvero il capocantiere, in quanto preposto alla verifica dell’impianto normativo antinfortunistico, tralascino di adottare le misure precauzionali richieste per l’espletamento delle attività di cantiere non già per aver sottovalutato i rischi ma per conseguire un vantaggio economico sui costi d’impresa, cagionando un danno al lavoratore.Ricorre, invece, il requisito del ”vantaggio” per l’ente quando la persona fisica viola sistematicamente le norme antinfortunistiche, realizzando concretamente l’utilità economica consistente nella minimizzazione dei costi d’impresa e nella massimizzazione del profitto ricavabile.Pertanto, sussiste interesse dell’ente in caso di omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza a favore di un potenziale vantaggio economico (riduzione dei costi d’impresa), mentre si configura vantaggio dell’ente qualora la mancata osservanza della normativa precauzionale determini un concreto ed effettivo aumento della produttività10.Nel caso di specie, infatti, la Corte sottolinea che la Società C.T. S.r.l. ha materialmente conseguito un vantaggio economico, apprezzabile quale “mancato decremento patrimoniale per l’utilizzo, in più occasioni, di un solo lavoratore non formato anzichè due, di cui uno formato”, riprendendo le motivazioni addotte sia dal Giudice di prime cure sia dal Giudice di appello.
Considerazioni conclusive
In definitiva, l’insegnamento che si può trarre dalla lettura della sentenza emanata dalla Suprema Corte consiste nel considerare anzitutto la preponderanza dell’adozione ed efficace attuazione di un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo ex D.lgs. 231/2001, idoneo a prevenire reati-presupposto nell’esercizio dell’attività d’impresa, avuto riguardo la disciplina dei reati colposi di evento in violazione delle norme antinfortunistiche, al fine di evitare procedimenti penali de societate che importerebbero costi ingenti sia in termini economici sia d’immagine, oltre che comportare l’ingessatura dell’ente. A tal proposito sarebbe sicuramente auspicabile la definizione “ex ante” dei processi aziendali maggiormente a rischio reato nonché delle aree strumentali, attraverso una metodologia di risk mapping basata sul risk approach, avuto riguardo la Governance aziendale e il Sistema di controllo interno adottato.In secondo luogo, ai fini del giudizio di colpevolezza dell’ente per colpa di organizzazione, trarre la considerazione che le nozioni di “interesse” e “vantaggio” non costituiscono un’endiadi bensì due criteri alternativi e concorrenti tra loro, l’uno da valutare ex ante, l’altro ex post, in ordine al potenziale ovvero concreto vantaggio economico conseguito dalla persona giuridica, avendo agito un organo apicale o ad esso sottoposto in favore dell’ente stesso.La pronuncia si pone, altresì, in armonia con l’interpretazione costituzionalmente orientata che viene oggi conferita all’art. 6 del Decreto 231 secondo la quale essa, nell’ambito di una tipologia di responsabilità che mutua la fisionomia del procedimento penale, quale sistema repressivo di illeciti penalmente rilevanti e di quello amministrativo11, individuerebbe il criterio di imputazione soggettivo del reato all’ente nel rispetto dei principi fondamentali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza di cui all’art. 27 della Carta Costituzionale.
1 L’art. 6, rubricato “Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell'ente”, prevede quanto segue: “1. Se il reato è stato commesso dalle persone indicate nell'articolo 5, comma 1, lettera a), l'ente non risponde se prova che: a) l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; b) il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo; c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione; d) non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b). 2. In relazione all'estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze: a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire; c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. 2-bis. I modelli di cui alla lettera a) del comma 1 prevedono: a) uno o più canali che consentano ai soggetti indicati nell'articolo 5, comma 1, lettere a) e b), di presentare, a tutela dell'integrità dell'ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell'ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte; tali canali garantiscono la riservatezza dell'identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione; b) almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalità informatiche, la riservatezza dell'identità del segnalante; c) il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione; d) nel sistema disciplinare adottato ai sensi del comma 2, lettera e), sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonché di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate. 2-ter. L'adozione di misure discriminatorie nei confronti dei soggetti che effettuano le segnalazioni di cui al comma 2-bis può essere denunciata all'Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di propria competenza, oltre che dal segnalante, anche dall'organizzazione sindacale”.
2 L’art. 25-septies, rubricato “Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro” prevede che: 1. In relazione al delitto di cui all'articolo 589 del codice penale, commesso con violazione dell'articolo 55, comma 2, del decreto legislativo attuativo della delega di cui alla legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura pari a 1.000 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno. 2. Salvo quanto previsto dal comma 1, in relazione al delitto di cui all'articolo 589 del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno. 3. In relazione al delitto di cui all'articolo 590, terzo comma, del codice penale, commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria in misura non superiore a 250 quote. Nel caso di condanna per il delitto di cui al precedente periodo si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non superiore a sei mesi.
3 Al riguardo, si richiama l’insegnamento delle Sez. Un., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhann e altri, secondo cui “in tema di responsabilità da reato degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell’art. 5 del Decreto 231 all’interesse o al vantaggio, devono essere riferiti alla condotta e non all’evento”.
4 Vedi il ricorso per cassazione avverso la Sentenza emessa il 26 ottobre 2018 dalla Corte di Appello di Lecce, in parziale riforma della Sentenza emessa l’8 marzo 2016 a seguito di dibattimento dal Tribunale di Brindisi.
5 La censura della ricorrente non trova alcun motivo di accoglimento in quanto, essendo stata applicata dal Tribunale di Brindisi la sanzione pecuniaria di 9.270,00 euro, essa è già inferiore al limite minimo di 10.329,00 euro stabilito dall’art. 12, comma 4 del Decreto 231, indicato per mera svista dalla Corte di Appello di Lecce quale art. 10, comma 4, medesimo disposto normativo.
6 Teoria condivisibilmente suggerita da Cass., Sez. IV, sent. n. 29538 del 28/05/2019, Calcinoni ed altri.
7 Ai sensi dell’art. 5 “1. L’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). 2. L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.
8 Cassazione, Sez. Un. n. 38343 del 24/04/2014.
9 Così Cass., Sez. IV, n. 31210 del 19/05/2016, Merlino ed altro; Sez. IV, n. 2544 del 17/12/2015, Gastoldi ed altri.
10 Fonti di risparmio di spesa che possono costituire il presupposto per l'applicazione dell'art. 5 del d. Igs. n. 231 del 2001, per esemplificare ulteriormente, sono anche il risparmio sui costi di consulenza, sugli interventi strumentali, sulle attività di formazione e di informazione del personale (come ritenuto da Sez. 4, n. 18073 del 19/02/2015, Bartoloni ed altri ovvero la velocizzazione degli interventi di manutenzione ed il risparmio sul materiale di scarto (come ritenuto da Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, Calcinoni ed altri).
11 La più recente giurisprudenza pare pressoché unanime nel definire la responsabilità amministrativa da reato dell’ente come un “tertium genus” di responsabilità. Cfr., ex plurimis, Cass. Pen., Sez. III, n. 11518/2019.
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