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SDEMANIALIZZAZIONE C.D. “TACITA”: IL CONTINUUM INTERPRETATIVO DELL’ART. 829 C.C. (S.U. n. 7739/2020)

di seguito uno stralcio della pronuncia

(a cura di Remo Trezza

(…) deve essere chiarito che l’art. 829 c.c. del 1942, si pone in continuità con l’antecedente rappresentato dall’art. 429 c.c. del 1865; e, questo, nel senso che il primo prevede che il passaggio di un bene dal demanio pubblico al patrimonio disponibile dello Stato può essere semplicemente dichiarato dall’autorità amministrativa, con ciò riconoscendo espressamente al provvedimento di declassificazione natura esclusivamente dichiarativa, cioè soltanto ricognitiva della perdita della destinazione ad uso pubblico del bene (Cass., sez. I, n. 12555 del 2013; Cass., sez. II, n. 10817); ricavandosi, da questo, la pacifica conclusione che il passaggio del bene pubblico al patrimonio disponibile dello Stato consegue direttamente al realizzarsi del fatto della perdita della destinazione pubblica del bene, cosiddetta sdemanializzazione tacita, locuzione che evidenzia come la declassificazione prescinde dal provvedimento dell’autorità amministrativa, diversamente da quanto invece previsto dall’art. 35 c. nav. per il demanio marittimo e dall’art. 947, comma 3, c.c. per il demanio idrico (Cass., sez. II, 11 maggio 2009, n. 10817; Cass., sez. II, n. 14666 del 2008); cosicché, cioè prendendo atto di questo, la Corte ha già in passato avuto occasione di chiarire che la regola contenuta nell’art. 829 c.c. del 1942 è rimasta quella stessa dell’art. 429 c.c. del 1865, poiché anche oggi, come ieri, trattasi unicamente di stabilire, con un tipico accertamento di fatto, se il bene abbia mantenuto o perduto la sua destinazione ad uso pubblico (Cass., sez. II, n. 21018 del 2016; Cass., sez. I, n. 5817 del 1981); un accertamento che il TSAP ha per vero compiuto, sia negando che la concessione abbia di per sé dato luogo alla perdita della destinazione ad uso pubblico dell’area, sia negando che le opere realizzate sulla stessa, seppure assentite, avessero fatto venire meno il carattere pubblico dell’uso; nessuna violazione di legge, quest’ultima da farsi unicamente consistere in una erronea interpretazione della fattispecie astratta, pertanto, è stata posta in essere dal TSAP; laddove, invece, con le riassunte censure, è stata la contribuente che ha, in realtà, inammissibilmente censurato l’accertamento in fatto compiuto dal TSAP, prospettando un inesistente error in iudicando (Cass., sez. I, n. 24155 del 2017; Cass., sez. trib., n. 8315 del 2013) (…).


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