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SGS - Redazione

Stereotipi sessisti nella decisione giudiziaria: violato l’art. 8 CEDU


@ Image credits: Council of Europe



A cura di Emanuele Sylos Labini


Nell'ottica di sviluppare un contenuto che possa essere di ausilio per studiosi e professionisti, a partire dal mese di ottobre 2020, verrà pubblicato con cadenza regolare l'Osservatorio sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la cui influenza diretta sugli orientamenti degli ordinamenti nazionali pare destinata sempre più ad aumentare.

La rubrica contiene una rassegna di stralci di pronunce accuratamente selezionate secondo la rilevanza delle questioni trattate, corredate da un breve riferimento alla massima, nonché all'indicazione dell'articolo della Convenzione violato.

Per i casi che non riguardano il nostro ordinamento, in assenza di una traduzione ufficiale in lingua italiana, si è preferito procedere ad un breve riassunto della quaestio in analisi, a cui segue il riferimento diretto al link ove è presente la pronuncia in lingua inglese.




Stereotipi sessisti nella decisione giudiziaria: violato l’art. 8 CEDU.


Corte EDU, sez. I, 27 maggio 2021, ricorso n. 5671/16, J.L c. Italia.

(traduzione a cura del Ministero della Giustizia)


Massima

L’adozione di argomentazioni sessiste, evocative della vita personale e intima della ricorrente, anche quando dettate dall’esigenza di valutarne la credibilità, viola l’art. 8 CEDU, ostacolando una protezione effettiva dell’immagine, della dignità e della vita privata delle vittime di violenza di genere.


Caso

“(…) 117. La Corte osserva che l’articolo 8 (…) impone agli Stati l’obbligo positivo di adottare delle disposizioni penali che incriminino e puniscano in maniera effettiva qualsiasi atto sessuale non consensuale, anche quando la vittima non ha opposto resistenza fisica, e di mettere concretamente in atto tali disposizioni mediante la conduzione di indagini e di procedimenti effettivi (…).

118. Essa rammenta, inoltre, che l’obbligo positivo che incombe allo Stato in virtù dell’articolo 8 di proteggere l’integrità fisica dell’individuo richiede, in casi così gravi come la violenza sessuale, delle disposizioni penali efficaci e può estendersi, pertanto, alle questioni inerenti all’effettività dell’indagine penale condotta ai fini dell’attuazione di tali disposizioni (…).

(…). 121. Passando a esaminare le circostanze della presente causa, la Corte osserva anzitutto che il diritto italiano sanziona penalmente la violenza sessuale, che sia commessa mediante violenza, minaccia, abuso di autorità, o abusando della condizione di inferiorità della vittima o con l’inganno. Inoltre, il codice penale prevede il reato autonomo, punito in maniera più severa, di violenza sessuale di gruppo (…). Non si può dunque attribuire allo Stato italiano l’assenza di un quadro legislativo di protezione dei diritti delle vittime di violenze sessuali.

122. Pertanto, si deve determinare se la ricorrente abbia beneficiato di una protezione effettiva dei suoi diritti di vittima presunta, e se il meccanismo previsto dal diritto penale italiano, nel caso di specie, sia stato lacunoso a tal punto da comportare una violazione degli obblighi positivi che incombevano allo Stato convenuto. La Corte non deve andare oltre. (…).

(…) 124. Tenuto conto di tutti gli elementi del procedimento, la Corte non può considerare che le autorità abbiano dimostrato passività o che siano venute meno al dovere di diligenza e alle esigenze di celerità richiesti nella valutazione di tutte le circostanze della causa (…). (…).

125. La Corte osserva, del resto, che la ricorrente non sostiene che la gestione dell’indagine sia stata caratterizzata da lacune e ritardi evidenti o che le autorità abbiano omesso di compiere degli atti istruttori. Ciò che afferma l’interessata, è che le modalità con cui sono stati condotti l’indagine e il processo sono state traumatiche per lei, e che l’atteggiamento delle autorità nei suoi confronti ha leso la sua integrità personale. (…).

126. Per quanto riguarda le audizioni della ricorrente, la Corte osserva anzitutto che le autorità giudiziarie si trovavano di fronte a due versioni contraddittorie dei fatti (…).

(…). 130. La Corte ha esaminato i verbali delle audizioni; essa non ha ravvisato né un atteggiamento irrispettoso o intimidatorio da parte delle autorità di indagine, né degli atti volti a scoraggiare la ricorrente o a orientare il seguito delle indagini. (…). Sebbene siano state senz’altro dolorose per la ricorrente, vista la situazione, non si può considerare che le modalità delle audizioni condotte durante l’indagine abbiano esposto l’interessata a un trauma ingiustificato o a ingerenze sproporzionate nella sua vita intima e privata.

(…) 134. La Corte deve ora accertare se il contenuto delle decisioni giudiziarie adottate nell’ambito del processo della ricorrente e il ragionamento su cui si è fondata l’assoluzione degli imputati abbiano leso il diritto dell’interessata al rispetto della sua vita privata e alla sua libertà sessuale e se l’abbiano esposta a una vittimizzazione secondaria.

(…). 136. Ora, la Corte ha rilevato diversi passaggi della sentenza della corte d’appello di Firenze che evocano la vita personale e intima della ricorrente e che ledono i diritti di quest’ultima derivanti dall’articolo 8. In particolare, la Corte ritiene ingiustificati i riferimenti fatti dalla corte d’appello alla biancheria intima rossa «mostrata» dalla ricorrente nel corso della serata, nonché i commenti concernenti la bisessualità dell’interessata, le relazioni sentimentali e i rapporti sessuali occasionali di quest’ultima prima dei fatti (…). Analogamente, la Corte ritiene inappropriate le considerazioni relative all’«atteggiamento ambivalente nei confronti del sesso» della ricorrente, che la corte d’appello deduce tra l’altro dalle decisioni dell’interessata in materia artistica. (…). Inoltre, la Corte ritiene che il giudizio sulla decisione della ricorrente di denunciare i fatti, che secondo la corte d’appello sarebbe risultato da una volontà di «stigmatizzare» e di rimuovere un «momento criticabile di fragilità e di debolezza», così come il riferimento alla «vita non lineare» dell’interessata (ibidem), siano ugualmente deplorevoli e fuori luogo.

137. La Corte ritiene, diversamente dal Governo, che i suddetti argomenti e considerazioni della corte d’appello non fossero né utili per valutare la credibilità della ricorrente, questione che avrebbe potuto essere esaminata alla luce dei numerosi risultati oggettivi della procedura, né determinanti per la risoluzione del caso (…).

138. La Corte riconosce che, nella fattispecie, la questione della credibilità della ricorrente era particolarmente cruciale, ed è disposta ad ammettere che il fatto di fare riferimento alle sue relazioni passate con determinati imputati o ad alcuni suoi comportamenti nel corso della serata poteva essere giustificato. Tuttavia, essa non vede in che modo la condizione familiare della ricorrente, le sue relazioni sentimentali, i suoi orientamenti sessuali o ancora le sue scelte di abbigliamento nonché l’oggetto delle sue attività artistiche e culturali potevano essere pertinenti per la valutazione della credibilità dell’interessata e della responsabilità penale degli imputati. Pertanto, non si può ritenere che le suddette violazioni della vita privata e dell’immagine della ricorrente fossero giustificate dalla necessità di garantire i diritti della difesa degli imputati.

139. La Corte ritiene che gli obblighi positivi di proteggere le presunte vittime di violenza di genere impongano anche il dovere di proteggere l’immagine, la dignità e la vita privata di queste ultime, anche attraverso la non divulgazione di informazioni e dati personali senza alcun rapporto con i fatti. Questo obbligo è, peraltro, inerente alla funzione giudiziaria e deriva dal diritto nazionale (…) nonché da vari testi internazionali (…). In tal senso, la facoltà per i giudici di esprimersi liberamente nelle decisioni (…) è limitata dall’obbligo di proteggere l’immagine e la vita privata dei singoli da ogni violazione ingiustificata.

140. La Corte osserva peraltro che il settimo rapporto sull’Italia del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne e il rapporto del GREVIO, hanno constatato il persistere di stereotipi riguardanti il ruolo delle donne e la resistenza della società italiana alla causa della parità dei sessi. (…).

141. La Corte è convinta che le azioni giudiziarie e le sanzioni penali svolgano un ruolo cruciale nella risposta istituzionale alla violenza di genere e nella lotta contro la disuguaglianza di genere. È pertanto essenziale che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle decisioni giudiziarie, di minimizzare la violenza di genere e di esporre le donne a una vittimizzazione secondaria utilizzando affermazioni colpevolizzanti e moralizzatrici atte a scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia.

142. Di conseguenza, pur riconoscendo che le autorità nazionali hanno vigilato nel caso di specie affinché l’inchiesta e il dibattimento fossero condotti nel rispetto degli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione, la Corte ritiene che i diritti e gli interessi della ricorrente derivanti dall’articolo 8 non siano stati adeguatamente protetti alla luce del contenuto della sentenza della corte d’appello di Firenze. Ne consegue che le autorità nazionali non hanno protetto la ricorrente da una vittimizzazione secondaria durante tutto il procedimento, di cui la redazione della sentenza costituisce una parte integrante della massima importanza tenuto conto, in particolare, del suo carattere pubblico.

143. Pertanto, la Corte (…) conclude che, nella fattispecie, vi è stata violazione degli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione. (…).”.

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