di seguito uno stralcio della pronuncia
(a cura di Giovanni De Bernardo)

“1.– La Corte di cassazione, sezione prima penale, con due ordinanze di analogo tenore, solleva, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), «nella parte in cui prevede che siano adottate tutte le necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di scambiare oggetti per i detenuti in regime differenziato appartenenti al medesimo gruppo di socialità».
2.– (…) La disposizione censurata prevede, testualmente, l’adozione di «tutte le necessarie misure di sicurezza, anche attraverso accorgimenti di natura logistica sui locali di detenzione, volte a garantire che sia assicurata la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti» (…).
Non si potrebbe, infatti, riconoscere «alcuna congruità» tra la suddetta interdizione e «il fine perseguito dal regime differenziato, costituito dalla necessità di recidere i collegamenti tra il detenuto e l’associazione criminale di appartenenza». (…)
2.1.– (…) Ricorda, tuttavia, anche i limiti che quella medesima giurisprudenza costituzionale avrebbe imposto al regime differenziato.
Il primo di essi, direttamente collegato all’art. 3 Cost., atterrebbe «alla congruità della misura applicata rispetto allo scopo che essa persegue»; l’altro, imposto dal rispetto dell’art. 27 Cost., impedirebbe alle restrizioni ordinate ai sensi dell’art. 41-bis, comma 2, ordin. penit. di «vanificare completamente la necessaria finalità rieducativa della pena» e di «violare il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità». (…)
Alla luce di tali principi, il divieto di scambio di oggetti, in quanto riferito, indifferentemente, a tutti i detenuti sottoposti al regime speciale di cui si discute, ancorché appartenenti al medesimo gruppo di socialità, non potrebbe ritenersi «funzionale a fronteggiare alcun pericolo per la sicurezza pubblica, assumendo “una portata meramente afflittiva”», ingiustificabile anche laddove mirata ad evitare l’instaurazione di posizioni di dominio all’interno della comunità carceraria. (…)
Il divieto in esame, inoltre, sarebbe in contrasto anche con il principio del finalismo rieducativo della pena, presidiato dall’art. 27 Cost., oltre ad integrare una limitazione al regime penitenziario ordinario contraria al senso di umanità. (…)
6.– (…) Ciò che l’applicazione del regime differenziato intende soprattutto evitare è che gli esponenti dell’organizzazione in stato di detenzione, sfruttando l’ordinaria disciplina trattamentale, possano continuare (utilizzando particolarmente, in ipotesi, i colloqui con familiari o terze persone) a impartire direttive agli affiliati in stato di libertà, e così mantenere, anche dall’interno del carcere, il controllo sulle attività delittuose dell’organizzazione stessa (…).
7.– (…) sicché le sollevate questioni risultano fondate, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.
In lesione dell’art. 3 Cost., il divieto di scambiare oggetti, nella parte in cui si applica anche ai detenuti inseriti nel medesimo gruppo di socialità, non risulta né funzionale né congruo rispetto alla finalità tipica ed essenziale del provvedimento di sottoposizione del singolo detenuto al regime differenziato, consistente nell’impedire le sue comunicazioni con l’esterno. (…)
7.1.– Questa stessa Corte ha riconosciuto – (…) – che «qualsiasi oggetto si presta astrattamente ad assumere – per effetto di una precedente convenzione, per la sua valenza simbolica intrinseca o semplicemente per i rapporti interpersonali tra le parti – un determinato significato comunicativo, quando non pure a fungere da sostituto “anomalo” dell’ordinario supporto cartaceo per la redazione di messaggi, o da contenitore per celarli al suo interno» (…).
Nel nostro caso, il significato simbolico o convenzionale insito nell’oggetto scambiato potrebbe efficacemente tradursi, in ipotesi, in una comunicazione da veicolare all’esterno, magari in occasione di un colloquio con familiari o (negli eccezionali casi in cui è consentito) terze persone.
A ben vedere, tuttavia, questa prima giustificazione non convince, proprio sul piano della sua congruità all’obbiettivo.
Il fatto è che i detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità hanno varie occasioni di comunicare qualsiasi messaggio tra loro in forma orale, (…). In quelle stesse occasioni, pur essendo sottoposti a continua videosorveglianza, i detenuti ben possono inoltre scambiare comunicazioni in forma gestuale, dal significato non facilmente intelligibile. (…)
In ultima analisi, vale per questa ipotetica giustificazione del divieto – (…) – un giudizio di incongruità rispetto allo scopo, cui non può non accompagnarsi, di conseguenza, la sottolineatura del carattere inutilmente e meramente afflittivo della misura. (…)
7.2.– La valutazione non muta nemmeno a considerare l’altra possibile ratio dell’applicazione del divieto all’interno del medesimo gruppo di socialità, laddove cioè si ritenga che la proibizione si giustifichi al fine d’impedire che taluno degli appartenenti al gruppo possa acquisire, attraverso lo scambio di oggetti, una posizione di supremazia nel contesto penitenziario, simbolicamente significativa nell’ottica delle organizzazioni criminali e da comunicare, come tale, all’esterno del carcere. (…)
8.– Così come non esiste un diritto fondamentale del detenuto sottoposto al regime differenziato a cuocere cibi (…), non esiste un suo diritto fondamentale a scambiare oggetti, nemmeno con i detenuti assegnati al suo stesso gruppo di socialità. E tuttavia, sia cuocere cibi, sia scambiare oggetti, sono facoltà dell’individuo, anche se posto in detenzione, che fanno parte di quei «piccoli gesti di normalità quotidiana» (…), tanto più preziosi in quanto costituenti gli ultimi residui in cui può espandersi la libertà del detenuto stesso (…).
Pertanto, la compressione della possibilità di scambiare oggetti con gli altri detenuti del medesimo gruppo – espressione, questa, di una pur minimale facoltà di socializzazione – e la conseguente deroga all’applicazione delle regole ordinarie, potrebbe giustificarsi non in via generale e astratta, ma solo se esista, nelle specifiche condizioni date, la necessità in concreto di garantire la sicurezza dei cittadini, e la motivata esigenza di prevenire – come recita l’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera a), ordin. penit. – «contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza o di attuale riferimento, contrasti con elementi di organizzazioni criminali contrapposte, interazione con altri detenuti o internati appartenenti alla medesima organizzazione ovvero ad altre ad essa alleate».
Da questo punto di vista, l’applicazione necessaria e generalizzata del divieto di scambiare oggetti anche ai detenuti appartenenti al medesimo gruppo di socialità, sconta il limite di essere frutto di un bilanciamento condotto ex ante dal legislatore, a prescindere, perciò, da una verifica in concreto dell’esistenza delle ricordate, specifiche, esigenze di sicurezza, e senza possibilità di adattamenti calibrati sulle peculiarità dei singoli casi.
È, in definitiva, la previsione ex lege del divieto assoluto a costituire misura sproporzionata, anche sotto questo profilo in contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. (…)
9.– In definitiva, il divieto di scambiare oggetti prescritto dalla norma censurata, se applicato necessariamente a detenuti assegnati al medesimo gruppo di socialità, viola gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. (…)
L’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera f), ordin. penit., deve pertanto essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede l’adozione delle necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata «la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti» anziché «la assoluta impossibilità di comunicare e scambiare oggetti tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità».”
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