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Cedolare secca e pretesi requisiti soggettivi del conduttore: ciò che conta è la destinazione d’uso



(Commissione Tributaria Provinciale di Treviso, Sez. I, 15 aprile 2021, n. 138)

La fattispecie esaminata dal giudice di prime cure ha ad oggetto un contratto di locazione di immobile abitativo stipulato tra una persona fisica ed una banca: questa, espressamente, individuava nel contratto, il proprio lavoratore dipendente che ivi avrebbe alloggiato. L’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Treviso, sulla scorta delle Circolari nn. 26/E/2011 e 50/E/2019 non ha ritenuto valido l’esercizio dell’opzione per la cedolare stante la natura giuridica del conduttore (esercente attività di impresa).

La Circolare n. 26/2011, al punto 1.2, scrive infatti "Tenuto conto che la norma consente l'applicazione della cedolare secca solo per gli immobili abitativi locati con finalità abitative, escludendo quelle effettuate nell'esercizio di un'attività di impresa, o di arti e professioni, occorre porre rilievo, al fine di valutare i requisiti di accesso al regime, anche all'attività esercitata dal locatario ed all'utilizzo dell'immobile locato. Esulano dal campo di applicazione della norma in commento i contratti di locazione conclusi con conduttori che agiscono nell'esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo, indipendentemente dal successivo utilizzo dell'immobile per finalità abitative di collaboratori e dipendenti".

Tale interpretazione di prassi tuttavia, travalica la littera legis dell'art. 3 co. 6 del D.lgs n. 23/2011, escludendo l'applicabilità della cedolare secca sugli affitti anche ove sia il conduttore ad avere la natura di imprenditore o esercente arte o professione, e ciò anche nel caso in cui l'abitazione sia comunque destinata ad abitazione di suoi dipendenti o collaboratori. La posizione dell’Amministrazione finanziaria non è condivisa dalla giurisprudenza di merito (1) che si è pronunciata in senso opposto in numerose occasioni, affermando che la norma non esclude affatto l’esercizio dell’opzione per la cedolare nel caso in cui il conduttore sia un soggetto diverso da una persona fisica: ciò che rileva è la destinazione d’uso che viene pattuita in contratto, che deve essere di tipo abitativo. Il D.lgs n. 23/2011 infatti, al primo comma dell’art. 3 dà preminenza al requisito della destinazione d’uso. Oltre ciò, stringenti requisiti soggettivi sono previsti in capo al locatore e non in capo al conduttore. Sul punto anche la dottrina (2) si è espressa nel senso indicato dalla sentenza in commento, evidenziando che “in veste di conduttore può figurare chiunque (persone fisiche, società, enti)”: “resta tuttavia fermo che l’abitazione deve essere esclusivamente locata ad uso abitativo e quindi utilizzata in concreto da persone fisiche”.

In punto inoltre, la restrittiva interpretazione dell’amministrazione finanziaria indirettamente contrasta anche con la previsione, agevolativa, portata dall’art. 95 comma 2 del d.P.R. n. 917/1986 che espressamente regola e modula la deducibilità dei canoni di locazione di immobili ad uso abitativo per i soggetti che producono reddito d’impresa (3). In tale norma, il legislatore dà atto di comprendere l’importanza del lavoro subordinato per la creazione di valore ed agevola - in taluni casi anche in misura importante consentendo la deducibilità integrale dei canoni di locazione di immobili abitativi - la mobilità territoriale di maestranze e manager.

La sentenza inoltre - in modo molto (condividibile e) incisivo - stigmatizza le conclusioni cui sono giunte le due Circolari amministrative citate posto che “Nulla dice la norma in relazione al conduttore. Le circolari richiamate, sostituendosi al legislatore e alla Corte Costituzionale, hanno inteso dare una interpretazione restrittiva della norma”

Le Circolari, viene quivi ancora una volta confermato, “sono atti amministrativi a valenza interna e quindi nessun vincolo hanno nei confronti del contribuente e del Giudice poiché non costituiscono, in nessun caso, fonte del diritto (4).

L’unica critica, ad una ben motivata ed argomentata sentenza, è la violazione dell’art. 15 del D.lgs. n. 546/1992 posto che il principio di soccombenza, avrebbe imposto la condanna dell’Amministrazione finanziaria e non la compensazione delle spese in ciò cagionando un danno, al vittorioso contribuente.


______ 1) Si veda C.T.R. Emilia Romagna n. 1236/7/19, C.T.P. Bari n. 825/1/19, C.T.R Lombardia n. 754/19/17, C.T.P. Milano n. 3529/25/15 e C.T.P. Reggio Emilia n. 470/3/14.

2) BUSANI, Immobili 2020, Ipsoa.

3)L’art. 95 T.U.I.R. infatti, non si applica solo ai soggetti I.RE.S. che producono “solo” reddito d’impresa ma anche agli enti non commerciali per il rinvio ex art. 144 del TUIR ed ai soggetti I.R.PE.F. ai sensi dell’art. 56 comma 1 e 66 comma 3 (imprese minori). Analoga previsione invece, è assente per gli esercenti arte e professione.

4) Sul punto, oltre alla sentenza Cass. 6699/2014 citata dalla Commissione trevigiana, si rinvia a Cass. ss.uu. n. 23031/2007, recentemente confermata dall’ordinanza Cass. n. 27035/2020.





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