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EFFETTI CIVILI: IL RINVIO È INNANZI AL GIUDICE PENALE (Cass. Pen., n. 12174/2020)

di seguito uno stralcio della pronuncia

(a cura di Ilaria Romano)

“In caso di annullamento della sentenza di appello, con la quale l'imputato assolto in primo grado con sentenza divenuta irrevocabile sia condannato ai soli effetti civili, in accoglimento del gravame proposto dalla parte civile, per riscontrata violazione delle regole del giusto processo in ragione della mancata rinnovazione dell’assunzione di prove dichiarative decisive, il rinvio per nuovo giudizio va disposto, sia pure ai soli effetti civili, dinnanzi al giudice penale, il quale si uniformerà al principio di diritto formulato nella sentenza di annullamento.”

“(…) la contesa ermeneutica, originata dal silenzio serbato in proposito dall’art. 622 citato, vede schierate, da un lato, la Corte penale, secondo la quale il giudice civile del rinvio è tenuto, per evitare il rischio di aggirare l’accertamento del reato compiuto dal giudice penale e di determinare un danno da reato che prescinda dai limiti e dall’oggetto fissati nella sentenza penale, a valutare la sussistenza della responsabilità dell'imputato secondo i parametri decisori e le regole probatorie del diritto penale (si pensi, ad es. alla prova della sussistenza del rapporto di causalità tra condotta ed evento e al canone “dell’oltre ogni ragionevole dubbio” posto a presidio della valutazione degli elementi per pronunciare condanna) e non facendo applicazione delle regole proprie del giudizio civile (…); dall’altro, la Corte civile che mette in campo una serie di argomentazioni per giungere a conclusioni diametralmente opposte (…)”

“Il tema della individuazione del giudice del rinvio per i casi di annullamento ai soli fini civili è stato affrontato (…) da Cass. S.U., 18 luglio 2013, n. 40109, Sciortino. (…)

Il giudice è - come noto - legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (…).

(…) la sentenza Sciortino (…) ha ritenuto che, una volta rilevata e dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, non possa residuare alcuno spazio per ulteriori pronunce del giudice penale e non abbia più ragion d’essere la speciale competenza promiscua (penale e civile) attribuita al giudice penale in conseguenza della costituzione di parte civile, venendo meno quell’interesse penalistico alla vicenda che giustifica il permanere della questione in sede penale.

In virtù del principio di economia processuale, quindi, la decisione sugli aspetti civili - si è detto - va rimessa al giudice civile, competente a pronunciarsi sia sull’an che sul quantum della pretesa del danneggiato dal reato.

Al rinvio al giudice penale - ha precisato la Corte - osta il disposto dell'art. 129 cod. proc. pen., tanto più che il danneggiato è consapevole ab origine della possibilità di un tale epilogo decisorio e della possibilità che il ristoro avvenga con regole diverse. (…)

Nel caso in esame - va fin d’ora ribadito - la situazione è del tutto diversa. La sentenza d’appello annullata segue a una sentenza, di primo grado, di assoluzione perché il fatto non sussiste, ribaltata in aperta violazione dei canoni costituzionali e convenzionali relativi alle regole probatorie e ai parametri decisori del giudizio penale. Una sentenza che ha, in particolare, del tutto trascurato di tener conto della progressiva implementazione dei contenuti del principio costituzionale del giusto processo e dei principi consolidati di matrice convenzionale in materia di fair trial, dai quali promanano direttamente le regole processuali applicate in questa sede che hanno determinato l’annullamento della sentenza impugnata e che sono il precipitato della evoluzione delle regole della rinnovazione istruttoria in appello, secondo l’esegesi “formante” sviluppatasi attraverso le pronunce del Supremo collegio penale, a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2016, Dasgupta.”

“Quanto detto introduce al tema più strettamente correlato alla questione oggetto del presente esame.

Si tratta, in particolare, di verificare se, stante la riconosciuta facoltà della parte civile di impugnare agli effetti civili la sentenza assolutoria davanti al giudice penale e secondo le regole del processo penale, sopravviva, nonostante l’irrevocabilità dell’esito assolutorio, l’interesse penalistico alla vicenda che, alla luce dell'impianto motivazionale rinvenibile nella sentenza Sciortino, giustificherebbe la ultrattività della deroga allo statuto civilistico posta dall’art. 74 cod. proc. pen. e la necessità che l’accertamento del reato generatore del danno avvenga nel rispetto dei canoni di giudizio penalistici, sia con riferimento alla verifica della prova della sussistenza del nesso causale, sia con riguardo alle regole che disciplinano l’utilizzabilità delle prove (e, dunque, anche le modalità di acquisizione di esse) e gli obblighi di rinnovazione istruttoria.

Sul punto, deve considerarsi che, pur non riconoscendo il nostro sistema l’azione penale in capo alla parte privata, è però indubbio che l’esercizio nel processo penale dell’azione civile per le restituzioni e il risarcimento di quello specifico danno delineato dall'art. 185 cod. pen. imprima una diversa fisionomia al corredo dei diritti processuali dell'imputato, il quale dovrà articolare le sue difese in quel processo non soltanto nella prospettiva dell’accusa penale, ma anche delle pretese alle restituzioni e al risarcimento strettamente connesse alla prima. (…)

Ne discende, come logico corollario, il diritto, costituzionalmente presidiato, dell’accusato a ottenere una decisione che, anche in caso di assoluzione irrevocabile, esamini tutti gli aspetti della vicenda anche ai fini dell’accoglimento o del rigetto della domanda civile, secondo i canoni interpretativi e le regole processuali propri del diritto penale, prime fra tutte le regole, di rango costituzionale, del giusto processo, nelle sue diverse declinazioni. (…)

Diverso è il caso in cui il reato sia travolto da una causa estintiva.

In questa ipotesi, infatti, la regola di giudizio applicabile, salvo il caso di rinuncia dell’imputato a valersene, è quella stabilita dall'art. 129 cod. proc. pen., a mente del quale il giudice ha l’obbligo dell’immediata declaratoria della causa estintiva, salvo che “riconosca” una causa di proscioglimento nel merito.”

“Tenuto conto di tali considerazioni, possono rassegnarsi alcune conclusioni in ordine alla portata dell'art. 622 cod. proc. pen.

a) Occorre, intanto, evidenziare che la disposizione dell'art. 622 è regola propria del processo penale e, dunque, non può che concorrere a inverare in esso gli strumenti processuali volti a garantire all’imputato il diritto fondamentale a che il processo nel quale egli è chiamato a difendersi - anche sul piano civilistico, allorché sia azionato il meccanismo di cui agli artt. 185 cod. pen. e 74 cod. proc. pen. - sia “giusto”, secondo il parametro di cui all'art. 111 della Costituzione. (…)

Occorre, dunque, ripensare l’art. 622 cod. proc. pen. quale norma funzionale a ottenere il bilanciamento del principio di economia processuale, per il quale deve evitarsi il permanere di questioni civili nei ruoli penali, con la necessità, propria del principio del giusto processo tratteggiato nei termini anzidetti, di cristallizzare davanti al giudice penale l’accertamento del fatto illecito da cui origina il danno. (…)

Il rinvio al giudice penale anziché a quello civile, peraltro, costituisce una garanzia del diritto di tutte le parti a non vedere stravolte, alla fine di un lungo processo, le regole probatorie e quelle logiche sulla responsabilità che lo hanno governato fino a quel momento, determinandone il progressivo posizionamento. (…)

Quanto alle ulteriori affermazioni del Supremo Collegio dell’epoca [sent. Sciortino, ndr], le stesse devono oggi calibrarsi alla luce dei principi successivamente affermati da quello stesso organo di nomofilachia, allorché si è trattato di dare attuazione nell’ordinamento a una lettura delle norme sul contraddittorio e l’acquisizione della prova del fatto di reato il più coerente possibile con il parametro costituzionale di cui all’art. 111 Cost. e con l’art. 6 C.E.D.U., come interpretato dai giudici di Strasburgo (a valle, peraltro, di un orientamento già consolidato a partire da Constantínescu v. Romania, n. 28871 del 2000; Popovici v. Moldova, n. 289 e n. 41194 del 2004, § 68, del 2007; Marcos Barrios v. Spain, n. 17122 del 2010).

I princìpi ivi affermati (…) si sono tradotti nell’interpretazione di una regola di giudizio (…) che impone oggi al giudice di procedere alla diretta assunzione di una prova dichiarativa decisiva anche in un caso di ribaltamento del verdetto assolutorio ai soli effetti civili.

Il giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva, è obbligato a rinnovare l’istruzione dibattimentale, anche d’ufficio poiché «è in gioco la garanzia del giusto processo a favore dell’imputato coinvolto in un procedimento penale, dove i meccanismi e le regole sulla formazione della prova non subiscono distinzioni a seconda degli interessi in gioco, pur se di natura esclusivamente civilistica (…) (in motivazione, Sezioni Unite Dasgupta, cit.). (…)

Da ultimo, pare opportuno rilevare che tale lettura della norma in commento trova riscontro nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione penale e di questa sezione, come suggeriscono le notizie di decisione n. 1 del 9.1.2020 della terza sezione e quella del 13.2.2020 della quarta sezione nel proc. n. 27120/219, entrambe relative a casi analoghi a quello oggetto del presente esame. In entrambi i casi, ci si è chiesti se, a fronte di appello della sola parte civile contro una sentenza di assoluzione dell’imputato, cui è seguita una condanna ai soli effetti civili, per la quale debba essere disposto l’annullamento per mancanza di motivazione e per violazione dei principi in materia di rinnovazione della prova dichiarativa, debba conseguire anche la decisione di rinvio per nuovo giudizio e, in caso positivo, quale sia l'autorità giudiziaria dinnanzi alla quale disporre il rinvio.

I giudici della terza e della quarta sezione (…) hanno optato per la soluzione dell’annullamento con rinvio dinnanzi al giudice penale per nuovo giudizio, sia pure ai soli effetti civili.”


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