Nel corso degli anni, la figura del “papà” ha subito una importante evoluzione. Da genitore – nell’immaginario socio-culturale collettivo – quasi esclusivamente responsabile degli aspetti economici verso la famiglia e quindi verso i figli, si è sempre più fatta avanti e concretizzata l’idea di una figura che potesse accompagnare quella materna, nella crescita morale, affettiva ed educativa della prole.
Tale evoluzione ne ha inevitabilmente mutato le relazioni sociali, e di pari passo sono state necessarie delle adeguate modifiche anche sul piano legislativo. È ormai noto, ad esempio, il concetto di “congedo di paternità sul lavoro”, previsto dal Testo Unico per la tutela ed il sostegno della maternità e della paternità (D.Lgs. 151/2001), il quale ha riconosciuto anche ai papà lavoratori dipendenti di poter beneficiare, al pari delle mamme, di un permesso retribuito di astensione dal lavoro in occasione della nascita, dell’adozione o dell’affidamento di un bambino. Possibilità, questa, che pone una più paritetica distribuzione della gestione familiare tra coniugi, permettendo, di conseguenza, alle madri di non dover mettere da parte, per lungo tempo, la propria carriera lavorativa, e ai padri di poter godere dei momenti così particolari ed irripetibili che l’arrivo di un figlio porta con sé.
La legge, dunque, pone i genitori sullo stesso piano relativamente ai diritti e doveri verso la prole, stabilendo che è dovere e diritto di entrambi mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente i figli, come previsto dall’art. 30 Cost. e dagli artt. 147 e 148 c.c.
La legge 8 febbraio 2006, n. 54, che disciplina l’istituto dell’affido condiviso, stabilisce invece che i genitori hanno diritto a stare con la prole anche dopo la separazione, affrontando un tema davvero caldo nel nostro Paese, quello della bigenitorialità a seguito di separazione tra i coniugi.
Purtroppo, quanto stabilito dal nostro legislatore troppo spesso non trova riscontro concreto, rimanendo una uguaglianza puramente formale. La prassi giudiziaria, infatti, ormai è consolidata verso un orientamento che porta ad assegnare la casa familiare e la collocazione prevalente dei figli alle madri, privilegiando, di fatto, la figura materna a discapito di quella paterna. Ma non solo, perché troppe sono le situazioni in cui il padre deve lottare duramente per vedere tutelati i propri diritti, a volte anche quelli più basilari, come il diritto di visita dei figli.
A tal proposito, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è più volte intervenuta, condannando il nostro Paese, per non essere riuscito a garantire i diritti dei padri separati e quindi a riconoscere il diritto alla bigenitorialità.
In particolare, la Corte è intervenuta con due rilevanti pronunce.
La prima è la sentenza del 29 gennaio 2013, Affaire Lombardo c/ Italia, con la quale i giudici della Corte hanno accolto il ricorso di un padre che - nonostante i vari provvedimenti del Tribunale dei Minorenni - non riusciva ad esercitare il diritto di visita nei confronti di sua figlia, a causa del comportamento della madre, la quale non accompagnava la bambina agli incontri con gli assistenti sociali. La Corte ha chiarito che l’art. 8 CEDU stabilisce che l’ordinamento giuridico deve essere in grado di garantire il rispetto del diritto alla vita familiare. Ciò si declina anche nel senso di avvicinare, nel minor tempo possibile, il genitore al figlio. Nel caso di specie, il Tribunale dei Minorenni si era limitato ad adottare misure automatiche e stereotipate, violando il sopracitato art. 8 della Convenzione.
La seconda sentenza è del 9 febbraio 2017, Solarino c. Italia, e riguarda, ancora una volta, il caso di un padre che - a seguito di separazione - incontrava numerose difficoltà nel frequentare la figlia, nonostante vari provvedimenti giudiziari avessero riconosciuto la fondatezza delle sue richieste. Nel frattempo, si susseguivano denunce, ricorsi e consulenze tecniche, che producevano come effetto quello di allontanare sempre più la bambina dal padre. Da qui la decisione di ricorrere alla Corte di Strasburgo, la quale, nella citata sentenza, stabiliva che madre e padre hanno il diritto di esercitare la responsabilità genitoriale con pari dignità ed opportunità.
Il punto cruciale della situazione o, per meglio dire, la lacuna del nostro sistema, consiste proprio nella difficoltà di concretizzare le decisioni dei giudici, prima che troppo tempo si interponga tra genitore e figlio. Per riprendere una citazione della sopracitata sentenza Solarino, infatti, il “…trascorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e il genitore che non vive con lui”.
L’auspicio della Corte Edu sembra concretizzarsi, in Italia, grazie alle buone prassi giudiziarie di alcuni Tribunali. Un esempio è rappresentato dalle Linee Guida emanate dal Tribunale di Brindisi nel marzo 2017, e recentemente aggiornate (aprile 2021). Tale documento si prefigge il non facile scopo di portare avanti la causa dell’affido condiviso con reale uguaglianza dei ruoli genitoriali, attraverso un riconoscimento sempre più forte della figura del papà, anche e soprattutto da un punto di vista affettivo e non solo di bisogno economico della prole.
Infatti, stando a quanto si legge nella relazione introduttiva, le stesse “si collocano in un contesto sociale che conserva vecchi retaggi e tradizionali attribuzioni di ruolo. Pertanto si è ben consapevoli che gli obiettivi che si prefiggono non saranno raggiunti immediatamente, ma richiederanno un certo tempo. D’altra parte, iniziare appare indispensabile, se si pensa che dall’introduzione dell’affidamento congiunto sono trascorsi 10 anni e la giurisprudenza è cambiata solo nominalisticamente. Ma soprattutto se si pensa che le norme, invece, sono cambiate, per cui la scelta per il giurista non può essere che a loro favore”.
Dette Linee Guida trovano le proprie basi giuridiche nei principi di cui all’art. 337 ter c.c., i quali riconoscono ai figli di genitori separati il diritto di avere con entrambi “un rapporto equilibrato e continuativo”, ricevendo “cura” da ciascuno di essi, senza distinzioni e alcuna differenza giuridica.
Esse, nello specifico, prevedono che in ogni provvedimento relativo alla separazione dei coniugi, per quanto concerne l’affido dei figli, si debba sempre partire da una condizione di pariteticità in relazione alle tempistiche di frequentazione dei figli e ai compiti di cura degli stessi. Resta possibile discostarsi da tali accordi, ma solo in caso di motivati impedimenti.
Significativamente, i punti essenziali e qualificanti che le Linee Guida raccomandano di rispettare riguardano: la valenza puramente anagrafica della residenza dei figli, atteso che gli stessi saranno domiciliati presso entrambi i genitori (“mancando qualsiasi differenza giuridicamente rilevante tra il genitore co-residente e l’altro”); la partecipazione alla quotidianità dei figli, ottenuta mediante una frequentazione – se non identica quantitativamente – almeno paritetica (dovendosi superare “l’obsoleta distinzione tra genitore accudente e genitore ludico, che già portò, fino dal 1987, all’introduzione dell’affidamento congiunto”); il mantenimento diretto dei figli, da intendersi come impegno economico e/o di impegno di tempo nei confronti degli stessi, “non potendosi ritenere assolti i doveri di un genitore dalla fornitura di denaro all’altro”; il diritto all’ascolto del minore almeno dodicenne ex art. 315 bis c.c. che – se richiesto – non può essere negato.
Lo sforzo compiuto dal Tribunale di Brindisi, seppur apprezzato, rappresenta al momento una tendenza di prassi giudiziaria minoritaria. Tuttavia, si spera che possa costituire, insieme al nuovo contesto sociale e alla figura in evoluzione del papà, nonché al monito ricevuto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, l’input di una prassi consolidata nel nostro ordinamento.
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Di seguito, per comodità di consultazione, si pubblicano:
- Linee Guida per la Sezione Famiglia – Tribunale di Brindisi (marzo 2017)
- Linee Guida per la Sezione Famiglia – Tribunale di Brindisi (aggiornamento aprile 2021)
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