È illegittima la ripresa delle attività di Bar, Pasticcerie, Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli all’aperto nella regione Calabria. Questo è quanto stabilito con sentenza n. 841 del 9.05.2020 dal Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, il quale ha annullato l’ordinanza del Presidente della Regione Calabria del 29 aprile 2020, n. 37, recante «Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-2019. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica: Disposizioni relative alle attività di ristorazione e somministrazione di alimenti e bevande, attività sportive e amatoriali individuali e agli spostamenti delle persone fisiche nel territorio regionale», in relazione al suo punto 6, nel quale è stato disposto che, a partire dalla data di adozione dell’ordinanza medesima, sul territorio della Regione Calabria, è «consentita la ripresa delle attività di Bar, Pasticcerie, Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli all’aperto».
Si tratta di una decisione importante, poiché tratta principalmente i rapporti fra Stato e Regioni dal punto di vista dei rispettivi poteri di intervento nell’attuale drammatica fase epidemica in atto.
Ad impugnare l’ordinanza de qua, chiedendone l’annullamento, è stata la Presidenza del Consiglio dei Ministri, deducendo l’illegittimità della stessa, per i seguenti motivi:
1) Violazione degli artt. 2, comma 1, e 3, comma 1 d.l. 25 marzo 2020, n. 19, carenza di potere per incompetenza assoluta.
L’art. 2, comma 1 dell’atto normativo citato attribuisce la competenza ad adottare le misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19 e le ulteriori misure di gestione dell’emergenza al Presidente del Consiglio dei ministri, che provvede con propri decreti previo adempimento degli oneri di consultazione specificati.
Nel caso di specie, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha disposto - con d.P.C.M. del 26 aprile 2020 - la sospensione delle attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) consentendo, in via di eccezione, la ristorazione con consegna a domicilio e la ristorazione con asporto, fermo restando l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, il divieto di consumare i prodotti all’interno dei locali e il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi. Sennonché, l’ordinanza regionale, in contrasto con quanto disposto dal d.P.C.M., ha autorizzato anche la ristorazione con servizio al tavolo.
Secondo il Governo, tale intervento integrativo non sarebbe consentito dalla normativa applicabile, in quanto l’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020 prevede che le Regioni possano adottare misure di efficacia locale «nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale», ma tale potere è subordinato a tre condizioni, e cioè che si tratti di interventi destinati a operare nelle more dell’adozione di un nuovo d.P.C.M.; che si tratti di interventi giustificati da «situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario» proprie della Regione interessata; che si tratti di misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive esercitabili nella regione.
Né l’ordinanza impugnata potrebbe trovare fondamento nell’art. 32, comma 3 l. n. 833 del 1978, e perché derogato dalla disciplina dettata dal d.l. n. 19 del 2020, e perché l’emergenza sanitaria ha carattere nazionale, e dunque impone l’intervento da parte del Governo centrale.
2) Con il secondo motivo di ricorso si deduce che l’ordinanza sarebbe priva di un’adeguata motivazione, non sarebbe stata supportata da una valida istruttoria, sarebbe illogica e irrazionale.
3) Infine, l’ordinanza sarebbe viziata da eccesso di potere, evidenziato dalla violazione del principio di leale collaborazione. Invero, l’ordinanza sarebbe stata emessa in assenza di qualunque interlocuzione con il Governo.
In primis, il Tar ha escluso che le prescrizioni del d.l. n. 19 del 2020 violino norme costituzionali.
Secondo la Regione Calabria, il citato d.l. comporterebbe un’inammissibile delega al Presidente del Consiglio dei Ministri del potere di restringere le libertà costituzionali dei cittadini e un’alterazione alla ripartizione dei compiti amministrativi delineata dall’art. 118 Cost.
Orbene, i Giudici Calabresi hanno osservato che l’art. 41 Cost., nel riconoscere libertà di iniziativa economica, prevede che essa non possa svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Infatti, al fine di assicurare che l’iniziativa economica non sia di pregiudizio per la salute pubblica, possono essere imposte prescrizioni anche con un atto di natura amministrativa.
Dunque, non si coglie alcun contrasto.
Lo Stato rinviene la competenza legislativa all’adozione del decreto de quo innanzitutto nell’art. 117, comma 2, lett. q, Cost., che gli attribuisce competenza esclusiva in materia di «profilassi internazionale».
Ma vi è di più.
La competenza legislativa si rinviene anche nel terzo comma del medesimo art. 117 Cost., che attribuisce allo Stato competenza concorrente in materia di «tutela della salute» e «protezione civile».
Il potere di individuare in concreto le misure necessarie ad affrontare un’emergenza sanitaria trova giustificazione nell’art. 118, comma 1, Cost.: il principio di sussidiarietà impone che, trattandosi di emergenza a carattere internazionale, l’individuazione delle misure precauzionali sia operata al livello amministrativo unitario.
Sul punto, la Corte costituzionale ha affermato che l’avocazione della funzione amministrativa si deve accompagnare all’attrazione della competenza legislativa necessaria alla sua disciplina, onde rispettare il principio di legalità dell’azione amministrativa, purché all’intervento legislativo per esigenze unitarie si accompagnino forme di leale collaborazione tra Stato e Regioni nel momento dell’esercizio della funzione amministrativa (Corte cost. 22 luglio 2010, n. 278).
Nel caso di specie, conformemente al principio enucleato dalla Corte costituzionale, l’art. 2 d.l. n. 19 del 2020 prevede espressamente che il Presidente del Consiglio dei Ministri adotti i decreti sentiti – anche – i Presidenti delle Regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nel caso in cui riguardino l'intero territorio nazionale.
É quindi da escludere che nel caso di specie siano stati attribuiti all’amministrazione centrale dello Stato poteri sostituitivi non previsti dalla Costituzione.
Dopo aver esaminato la questione di presunta illegittimità costituzionale del d.l. 19 del 2020 avanzata dalla Regione, i giudici del T.a.r. Catanzaro hanno annullato l’ordinanza regionale per i motivi che seguono.
“Spetta infatti al Presidente del Consiglio dei Ministri individuare le misure necessarie a contrastare la diffusione del virus COVID-19, mentre alle Regioni è dato intervenire solo nei limiti delineati dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020 , che però nel caso di specie è indiscusso che non risultino integrati”.
Inoltre, l’ordinanza regionale ha violato il principio di precauzione.
Le restrizioni dovute alla necessità di contenere l’epidemia sono state adottate, e vengono in questa seconda fase rimosse, gradualmente, in modo che si possa misurare, di volta in volta, la curvatura assunta dall’epidemia in conseguenza delle variazioni nella misura delle interazioni sociali. Tutto ciò è coerente con il principio di precauzione, che deve guidare l’operato dei poteri pubblici in un contesto di emergenza sanitaria quale quello in atto, dovuta alla circolazione di un virus, sul cui comportamento non esistono certezze nella stessa comunità scientifica. Si badi, che detto principio, per cui ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655), deve necessariamente presidiare un ambito così delicato per la salute di ogni cittadino come è quello della prevenzione (Corte cost. 18 gennaio 2018, n. 5). È chiaro che, in un simile contesto, ogni iniziativa volta a modificare le misure di contrasto all’epidemia non possono che essere frutto di un’istruttoria articolata, che nel caso di specie non sussiste.
Infine il ricorso viene accolto poiché l’Ordinanza della Regione Calabria ha violato il principio di leale collaborazione. Sul punto, occorre ricordare come la violazione del principio di leale collaborazione costituisca elemento sintomatico del vizio dell’eccesso di potere (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 14 dicembre 2001, n. 9).
Nel caso de quo, non risulta che l’emanazione dell’ordinanza oggetto di impugnativa sia stata preceduta da qualsivoglia forma di intesa, consultazione o anche solo informazione nei confronti del Governo.Anzi, il contrasto nei contenuti tra l’ordinanza regionale e il d.P.C.M. 26 aprile 2020 denota un evidente difetto di coordinamento tra i due diversi livelli amministrativi, e dunque la violazione da parte della Regione Calabria del dovere di leale collaborazione tra i vari soggetti che compongono la Repubblica, principio fondamentale nell’assetto di competenze del titolo V della Costituzione.
Avv. Virginia Galasso
Comments