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L'obbligo di ripetizione all'Inps dell'assegno ad personam viola l'art. 1 Prot. n. 1 CEDU


@ Image credits: Council of Europe




A cura di Emanuele Sylos Labini


Nell'ottica di sviluppare un contenuto che possa essere di ausilio per studiosi e professionisti, a partire dal mese di ottobre 2020, verrà pubblicato con cadenza regolare l'Osservatorio sulla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la cui influenza diretta sugli orientamenti degli ordinamenti nazionali pare destinata sempre più ad aumentare.

La rubrica contiene una rassegna di stralci di pronunce accuratamente selezionate secondo la rilevanza delle questioni trattate, corredate da un breve riferimento alla massima, nonché all'indicazione dell'articolo della Convenzione violato.

Per i casi che non riguardano il nostro ordinamento, in assenza di una traduzione ufficiale in lingua italiana, si è preferito procedere ad un breve riassunto della quaestio in analisi, a cui segue il riferimento diretto al link ove è presente la pronuncia in lingua inglese.



L'obbligo di ripetizione all'Inps dell'assegno ad personam viola l'art. 1 Prot. n. 1 CEDU


Corte EDU, 11 febbraio 2021, ric. n. 4893/13, Cesarin c. Italia

(Traduzione a cura del Ministero della Giustizia)


Massima

L’errore commesso dall’INPS in merito al versamento dell’assegno ad personam, a seguito delle procedure di mobilità, non può ricadere sul beneficiario delle somme stesse. Per tali ragioni, l’obbligo di ripetizione all’ente pubblico delle somme corrisposte a titolo di garanzia stipendiale da parte dell’interessato rappresenta un’indebita ingerenza nel proprio patrimonio, in violazione con l’art. 1 del Protocollo n. 1 della Cedu.


Caso

“1. Il ricorso verte su un’ingerenza nel patrimonio della ricorrente, a seguito dell’azione delle autorità volta ad ottenere il rimborso di una parte delle somme corrisposte a titolo di garanzia stipendiale all’interessata.”

“(…)”

“34. La ricorrente sostiene che la condanna a rimborsare all’INPS la somma (…) versata a titolo di garanzia stipendio, ha comportato la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, così formulato: «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale».”

“(…)”

“44. La ricorrente non contesta la legittimità del principio di riassorbimento degli aumenti di stipendio a partire dal 2004, ma piuttosto l’obbligo di rimborso delle somme che l’INPS le aveva già versato, che considera parte integrante del suo patrimonio”.

“45. La stessa afferma che gli importi in questione le sono stati versati senza che fosse indicata una «riserva di ripetizione» e senza alcuna indicazione relativa al loro carattere provvisorio, in applicazione di un quadro normativo determinato, nella fattispecie la normativa applicabile alla procedura di mobilità (…). A suo parere, tale quadro ha fatto sorgere in lei un’aspettativa legittima e ragionevole per quanto riguarda il carattere definitivo dei versamenti, tanto più che l’INPS ha richiesto la restituzione delle somme in questione quasi dieci anni dopo che era iniziato il versamento delle stesse, basandosi sulla giurisprudenza della Corte di cassazione che, nel frattempo, si era consolidata a partire dal 2006 (…)”.

“46. La ricorrente ritiene che l’azione dell’amministrazione si sia fondata su una nuova interpretazione delle disposizioni applicabili, non prevedibile, il che sarebbe contrario ai principi della Corte”.

“(…)”

“53. Considerati i principi generali applicabili in materia ai quali essa rinvia (…) e tenuto conto delle sue conclusioni relative all’applicabilità dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla presente causa (…), la Corte ritiene che la misura in contestazione abbia costituito un’ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto dei suoi beni. Di conseguenza, per essere compatibile con la norma generale enunciata nella prima frase dell’articolo 1 sopra menzionato, l’ingerenza deve soddisfare tre condizioni: deve essere stata compiuta «nelle condizioni previste dalla legge», «per causa di pubblica utilità» e nel rispetto di un giusto equilibrio tra i diritti della ricorrente e gli interessi della comunità (…)”.

“54. Per quanto riguarda la legalità dell'ingerenza, la Corte osserva che l'azione di ripetizione dell’indebito è stata convalidata da una sentenza della corte d'appello di Torino, confermata in cassazione, sulla base delle disposizioni interne pertinenti in materia e della giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte di cassazione (…). La misura in contestazione era dunque prevista dalla legge, come esige l'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione”.

“55. Passando alla questione dello scopo legittimo, (…) la Corte si limita a rilevare che i giudici interni hanno rammentato i principi generali propri alla nozione di ripetizione dell'indebito. Essa considera perciò che l'ingerenza rispondesse a uno scopo legittimo, in quanto è nell’interesse pubblico che i beni ricevuti su una base inesistente o che abbia cessato di esistere siano restituiti allo Stato (…)”.

“56. (…) La Corte deve quindi esaminare se l'ingerenza in questione abbia rotto il giusto equilibrio che deve esistere tra le esigenze dell’interesse pubblico generale, da una parte, e quelle della protezione del diritto dell’individuo al rispetto dei suoi beni, dall'altra (…). Pertanto, il giusto equilibrio non sarà stato rispettato se la persona interessata sostiene un onere particolare ed eccessivo (…)”.

“57. (…) La Corte rammenta che il trasferimento della ricorrente si è svolto nell'ambito di un procedimento più complesso di riorganizzazione della pubblica amministrazione. In effetti, la procedura di mobilità è stata avviata allo scopo di reintegrare un numero considerevole di funzionari della Pubblica Istruzione che si trovavano in esubero (…). In questo contesto, agli interessati è stato riconosciuto il beneficio di un assegno ad personam, la cui funzione era evitare che il trasferimento di questi dipendenti in transito dalla loro amministrazione di origine verso un altro ente statale, nella fattispecie l'INPS, potesse avere un impatto sui loro stipendi. Il suddetto assegno sembrava rispondere, per la sua finalità, al principio che vieta la reformatio in peius del trattamento economico dei dipendenti del settore pubblico, allo scopo di favorire la mobilità del personale interessato ed evitare che delle considerazioni di ordine economico possano ostacolare il trasferimento dei dipendenti”.

“58. La Corte osserva che la realizzazione di procedure di mobilità e la previsione di misure di garanzia stipendiale come l'assegno ad personam (…) rientrano, in linea di principio, nell’ampio margine di apprezzamento accordato agli Stati in questo ambito (…). Tuttavia, questo margine può essere più stretto quando, in casi come quello in esame, in cui sono state versate delle somme per errore alla parte interessata, l'errore è imputabile unicamente alle autorità statali (…)”.

“(…)”

“67. Inoltre, la Corte osserva, come già indicato sopra, che (…) [n]on si tratta (…) di un errore una tantum e isolato, né di un semplice errore di calcolo che la ricorrente avrebbe potuto rilevare, eventualmente ricorrendo a un esperto. Quest’ultima poteva ragionevolmente considerare che i versamenti in questione fossero stabili e destinati a essere definitivi”.

“(…)”

“74. Alla luce delle considerazioni sopra esposte (…), la Corte rammenta in particolare che: a) il versamento di un assegno deve essere effettuato a seguito di una domanda presentata dal beneficiario che agisce in buona fede (…) o, in assenza di tale domanda, dalle autorità che procedono in maniera spontanea; b) il versamento in questione deve essere effettuato da un ente pubblico, amministrazione centrale dello Stato o altro ente pubblico, sulla base di una decisione adottata all'esito di un processo amministrativo e che si presume esatta (…); c) deve essere fondato su una disposizione di legge, regolamentare o contrattuale, la cui applicazione deve essere percepita dal beneficiario come la «fonte» del versamento (…), e individuabile anche nel suo importo; d) il versamento manifestamente privo di titolo o basato su semplici errori di calcolo è escluso; tali errori possono essere rilevati dal beneficiario, eventualmente ricorrendo ad un esperto; e) deve essere effettuato per un periodo sufficientemente lungo per far nascere la convinzione ragionevole del suo carattere definitivo e stabile (…); l'assegno versato non deve essere in rapporto ad un’attività professionale occasionale e «isolata», ma deve essere legato all'attività ordinaria; f) infine, il versamento in questione non deve essere stato effettuato con l'indicazione di una riserva di ripetizione. Pertanto, la Corte ritiene che, alla luce delle circostanze particolari del caso di specie, l’ingerenza subita dalla ricorrente sia stata sproporzionata in quanto quest'ultima, da sola, ha dovuto sostenere l'onere dell'errore commesso dall’amministrazione.

“75. Vi è dunque stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione”.


(Stralcio a cura di Giulio Baffa)



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