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STALKING: DIVIETO DI AVVICINAMENTO ANCHE SE IMPEDISCE DI LAVORARE (CASS. 27271/2020)

di seguito uno stralcio della pronuncia

(a cura di Ilaria Romano)

“2.1. (…) Tanto in linea con la giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui, il delitto previsto dell'art. 612-bis c.p., che ha natura di reato abituale e di danno, è integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento in una sequenza causale che porta alla determinazione dell'evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell'ennesimo atto persecutorio. Sicchè ciò che rileva, ai fini dell'elemento oggettivo del reato, non è la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell'evento (fra molte nello stesso senso, Sez. 5, n. 7899 del 14/01/2019 […]).

2.2. (…) Si osserva, invero, che va condiviso l'approdo interpretativo al quale è giunta la costante giurisprudenza di questa Corte che ha evidenziato come, in materia di provvedimenti de libertate, il sindacato del giudice di legittimità non possa estendersi alla revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi. Si tratta di apprezzamenti di merito, rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura (in questo caso il Tribunale con funzione di appello). La motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è, dunque, censurabile solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile la logica seguita dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l'applicazione della misura, assoluta apparenza nemmeno dedotta per il caso di specie (…).

2.3. (…) Sussiste, invero, nel caso della misura del divieto di avvicinamento, la piena legittimità del provvedimento che obblighi il destinatario a mantenere una certa distanza dalla vittima, ovunque questa si trovi. Ciò nel caso, come quello al vaglio, in cui la condotta si connoti per una persistente ricerca di avvicinamento alla vittima.

Tanto in ossequio all'indirizzo di questa Corte che va senz'altro condiviso, secondo cui è legittimo il provvedimento che, ex art. 282-ter c.p.p., obblighi il destinatario della misura a mantenere una certa distanza dalla persona offesa, ovunque questa si trovi, senza specificare i luoghi oggetto del divieto, essendo tale provvedimento cautelare rivolto a tutelare il diritto della persona offesa ad esplicare la propria personalità e la propria vita di relazione in condizioni di assoluta sicurezza, a prescindere, quindi, dal luogo in cui questa venga a trovarsi (…).

Peraltro osserva la Corte che la concorrente necessità di frequentazione del luogo di lavoro da parte dell’indagato, è esigenza da rappresentare al giudice del merito cautelare, onde ottenere la specificazione di modalità di svolgimento che possano assicurare l’esercizio del diritto al lavoro, ove compatibile con la misura in atto e le esigenze cautelari sopra descritte, cui la stessa è preposta.”


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