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SULL’APPLICABILITÀ DELLA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA AI FINANZIAMENTI PUBBLICI (Ad. Pl. 23/2020)

di seguito uno stralcio della pronuncia

(a cura di Rossella Bartiromo)

"Occorre precisare, preliminarmente, che la questione deferita all’esame dell’Adunanza Plenaria dalla Sezione nei seguenti termini - “se il limite normativo delle “utilità conseguite”, di cui all'inciso finale contenuto sia nell'art. 92 comma terzo, sia nell'art. 94 secondo comma del D. Lgs. n.159/2011, è da ritenersi applicabile ai soli contratti di appalto pubblico, ovvero anche ai finanziamenti e ai contributi pubblici erogati per finalità di interesse collettivo” - abbisogna di una diversa e più ampia formulazione.

Le disposizioni considerate prevedono, in modo sostanzialmente simile, che i soggetti di cui all’art. 83, nel caso di informazione antimafia interdittiva, “revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”.

Stabilire, dunque, se “il limite normativo” delle “utilità conseguite” si riferisca solo ai contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, oppure anche ai finanziamenti e contributi pubblici, così come richiede il Giudice del deferimento, presuppone innanzi tutto stabilire se la salvezza “del pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente” si riferisca solo ai predetti contratti o anche ai finanziamenti.

Difatti, è la “salvezza” del pagamento il vero “limite” normativo (ovvero l’eccezione agli effetti della revoca e del recesso dai contratti), contribuendo invece il limite delle “utilità conseguite” solo alla definizione del “quantum” di una salvezza già verificata sussistente.

(…)

Tanto precisato in ordine alla questione sottoposta al presente giudizio, occorre ricordare che, con sentenza 6 aprile 2018 n. 3, questa Adunanza Plenaria ha già avuto modo di affermare, formulando il “principio di diritto”, che il provvedimento di cd. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità giuridica in ambito pubblico, e dunque la insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che, sul loro cd. “lato esterno”, determinino rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione.

(…)

8. Da quanto esposto consegue che (…) costituiscono norme di eccezione, e come tali di stretta interpretazione (…), quelle che, pur in presenza di una riconosciuta situazione di incapacità, consentono la conservazione da parte di un soggetto destinatario di informazione interdittiva di attribuzioni patrimoniali medio tempore eventualmente acquisite ovvero la possibilità di procedere alla loro dazione da parte delle pubbliche amministrazioni.

Pertanto, l’esame ermeneutico degli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011, nella parte in cui questi consentono la salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite” – da accertare se con riferimento ai contratti da cui si recede ovvero anche ai finanziamenti o simili medio tempore erogati – deve rispondere alla regola di stretta interpretazione propria delle norme di eccezione.

9. In aggiunta a quanto ora esposto, occorre rilevare che gli articoli più volte citati disciplinano, di per sé, non già la situazione “ordinaria” di particolari rapporti giuridici con le pubbliche amministrazioni, bensì una situazione che costituisce già essa stessa “deroga” all’ordinario procedimento volto alla adozione di atti ovvero alla costituzione di rapporti contrattuali.

(…)

(N)el caso della disciplina “derogatoria”, proprio perché essa consente di procedere alla instaurazione di rapporti con un privato del quale, allo stato, non si conosce la sussistenza della capacità ad avere tali rapporti con la pubblica amministrazione, viene altresì cautelativamente precisato che:

- “i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all’articolo 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva” e i soggetti pubblici “revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti” (art. 92, co. 3)

- “la revoca e il recesso . . . si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all’autorizzazione del subcontratto” (art. 92, co. 4).

In sostanza, ciò che, in contemperamento della pluralità di esigenze connesse alla tutela di interessi pubblici e privati, viene effettuato dai soggetti di cui all’articolo 83 (rilascio di autorizzazioni o concessioni, erogazione di contributi e simili, stipulazione di contratti) avviene sotto la rigida condizione dell’accertamento della stessa capacità del soggetto privato ad essere parte del rapporto con la pubblica amministrazione, con la ovvia conseguenza che – laddove per il tramite dell’informazione antimafia interdittiva tale capacità venga accertata come insussistente – non possono che manifestarsi in termini di nullità sia i provvedimenti amministrativi rilasciati (per difetto di un elemento essenziale del medesimo, ex art. 21-septies l. n. 241/1990), sia il contratto stipulato con soggetto incapace.

Giova precisare che ciò che consegue alla interdittiva antimafia non costituice un “fatto” sopravvenuto che determina la revoca del provvedimento emanato ovvero la risoluzione del contratto per factum principis, bensì il (pur tardivo) accertamento della insussistenza della capacità del soggetto ad essere parte del rapporto con l’amministrazione pubblica: quella incapacità che – laddove fosse stata, come di regola, previamente accertata – avrebbe escluso in radice sia l’adozione di provvedimenti sia la stipula di contratti.

(…)

(L)e disposizioni degli articoli 92 e 94 intendono affermare per il tramite del non appropriato riferimento agli istituti della “revoca” (del provvedimento) e del “recesso” (dal contratto), che l’accertamento dell’intervenuta “condizione risolutiva” altro non è che l’accertamento successivo (consentito dalla legge) dell’incapacità giuridica del soggetto ad essere destinatario di provvedimenti amministrativi ovvero ad essere parte del contratto ad evidenza pubblica.

A ciò consegue, quanto ai provvedimenti di concessione di benefici economici, comunque denominati, che l’intervenuto accertamento dell’incapacità del soggetto, cui si riconnette la “precarietà” degli effetti dei medesimi, espressamente enunciata dalle norme, esclude che possa esservi legittima ritenzione delle somme da parte del soggetto beneficiario (ma giuridicamente incapace).

Né è possibile ipotizzare, in presenza di un chiaro riferimento normativo alla “precarietà” dei provvedimenti adottati o del provvedimento stipulato, l’insorgere di un “affidamento” in capo al soggetto privato.

(…)

Anche il riferimento alle “utilità conseguite” – come misura del “quantum” dovuto dall’amministrazione al privato colpito da interdittiva - contribuisce ad escludere che la norma di eccezione relativa alla salvezza dei pagamenti possa estendersi anche ai finanziamenti ed ai contributi.

L’ “utilità conseguita” non corrisponde all’investimento realizzato in conformità al programma di finanziamento.

(…) (N)el caso del finanziamento, non può parlarsi di una “utilità” per l’amministrazione, soggettivamente intesa, ma più esattamente di un interesse pubblico che trascende la mera (sia pur completa e corretta) realizzazione del programma (che invece, ove non realizzato, comporta ex se conseguenze quali la revoca sanzionatoria del finanziamento, oltre alla possibile configurazione di un illecito penale).

Si tratta di un interesse pubblico per il perseguimento del quale il programma realizzato (e che molto spesso consiste in opere che restano in proprietà del privato) costituisce un mezzo e non un fine.

Se è vero che “ogni attività della pubblica amministrazione che importa erogazione di provvidenze economiche è (deve essere) finalizzata a scopi di interesse pubblico e questi ultimi si sostanziano in benefici collettivi, immediatamente o mediatamente riconducibili all’esercizio del potere” (in tal senso, Cgars, n. 3/2019 cit.), appare evidente come non sia possibile ricondurre alla “utilità conseguita”, presente nel testo normativo, anche più generali interessi pubblici, per i quali:

- per un verso, l’accertamento appare non rispondere (o non rispondere sempre) a parametri giuridici, bensì a parametri macroeconomici, proporzionati alla tipologia, alla estesa latitudine degli interessi programmati e alla loro distribuzione nel lungo periodo;

- per altro verso, essi stessi prescindono da una vera e propria possibilità di “misurazione” in senso giuridico o economico, afferendo ala migliore esplicazione di diritti politici o economici, ovvero ad aspetti di sviluppo sociale o culturale (si pensi alla costruzione di una biblioteca o di un teatro di proprietà privata ma con ausili pubblici, al fine di realizzare la crescita culturale di una comunità).

(…)

D’altra parte, occorre non dimenticare che il testo normativo (del quale qui si nega l’interpretazione estensiva) prevede “la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e del rimborso delle spese già sostenute per l’esecuzione del rimanente”; ciò rende valutabile l’utilità conseguita dall’amministrazione anche attraverso un opera incompiuta - perché all’amministrazione resta un bene che comunque ne accresce il patrimonio – ma non rende altrettanto valutabile un interesse pubblico derivante da un programma finanziato ma solo in parte realizzato.

Il che comporta ulteriori “distinguo” interpretativi che rendono ancor più evidente l’impossibilità di una lettura estensiva che, già dubbia con queste modalità ermeneutiche per norme ordinarie, è da escludere per norme eccezionali.

10. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, l’Adunanza Plenaria formula il seguente principio di diritto:

“la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, previsti dagli articoli 92, comma 3, e 94, comma 2, del d,. lgs. 6 settembre 2011 n. 159, si applicano solo con riferimento ai contratti di appalto di lavori, di servizi e di forniture”".

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